SULLA PERFEZIONE
di Mario Grasso ¡
Nel sesto canto dell’Inferno , Dante
dice la sua in materia di perfezione (… quanto la cosa è più perfetta, più
senta ‘l bene, e così la doglienza) con riferimento più largamente
significativo, rispetto a quanto con allusione a un particolare “perfetto” dirà
ancora nel 25esimo del Purgatorio. Citazione, la mia, condizionata dalla
tendenza ai fasti classici più che al motivo della intenzione di rimestare e
invitare a fare altrettanto. Precisazione conveniente anche se più adatta a
mescolare le carte della logica da applicare al “dove si vuol parare”. Logica
che faccio cominciare dal significato intrinseco nella voce del linguaggio
architettonico quando pronuncia “metope”,
cioè: “Da l’uno a l’altro triglifo è di spazio un modulo e mezzo, il quale
spazio è di quadro perfetto ed è chiamato Metope”.
Meno convincente il Petrarca quando la butta sul religioso nella parte III del
sonetto 5 : “Che più gloria è nel regno degli eletti / d’un spirito converso, e
più s’estima / che di novantanove altri perfetti”. Dopo queste proposte può
arrivare la doccia fredda, la soluzione cui non avremmo pensato: “Perfetto
dicesi dell’ultimo stadio di vita dell’insetto, raggiunto il quale è capace di
riprodursi. La farfalla, ad esempio, che esce dal bossolo è l’insetto perfetto
del baco da seta”.
Una constatazione che mi ha fatto finalmente capire il tipo di allusività che il teorico del famismo, Gino Raya, che fu anche docente di lingua e letteratura francese nelle università, scrittore e acuto saggista, prediligeva quando gli capitavano occasioni di parlare di certi suoi illustri colleghi accademici. La torta a questo punto è pronta, ma prima di metterla nel forno non guasta, a mo’ di ciliegina la formula che può somigliare a quella dell’acqua calda per i nostri giorni invernali di antivigilia rispetto ai prossimi “giorni della merla”, quelli stessi considerati e assunti per come sono ab eterno a riferimenti termici cui il sud di Sicilia, ad esempio, contrappone nelle settimane del solleone “i giorni della ferla”, come altre volte ho avuto occasione di scrivere in omaggio alle bizzarrie ispirate dal vero. Ma non rompiamo il filo e torniamo a Vitruvio quando in vena di spendere a “mangia che del tuo mangi”, si sporge fino a far notare, (quella volta ai suoi contemporanei) che: “Chiamano perfetto i matematici un numero, il quale si compone della somma dei suoi divisori; così è perfetto il sei, i divisori del 6 sono l’1, che lo divide in sei parti; il 2 che lo divide in tre parti; ed il 3 che lo divide in due; infatti poi, l’uno, il due e il tre sommati insieme fanno, appunto, sei”. La ciliegina quindi va pennellata e subito potrà essere infornata la torta dopo avere aggiunto tra il perfectus di Vitruvio e il perfectum di Varrone, che “Nullo può conoscere il proprio perfetto o difetto se non al momento delle tentazioni”.
2 – Ma come poter trascurare o snobbare gli insegnamenti dei Vangeli in materia di perfezione? Citiamo solo quello denominatoriale su cui far assidere l’intera morale di Cristo: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quanto hai, e dallo ai poveri”. Sto immaginando i fruitori di pensioni d’oro italiani, cui rivolgere questo evangelico invito. Tuttavia loro potrebbero rispondermi pigliando tempo ma, ancor meglio e ineccepibilmente, citando la continuazione della lezione evangelica, che conclude con una via di scampo per chi intende salvarsi: “Sarà comunque perfetto chi sia come il maestro suo!”. Da una scuola guidata da maestri ladri e malfattori, non ci sarà scampo: per essere perfetti bisognerà comportarsi come i propri mentori. E qui tutto sarà finalmente chiaro: poiché nessun maestro al mondo ha venduto tutto e donato ai poveri, quindi sia regola di perfezione anzi, il togliere ai poveri per arricchire se stessi … il teorema funziona e la perfezione è stata facilmente, fatalmente raggiunta.
Una constatazione che mi ha fatto finalmente capire il tipo di allusività che il teorico del famismo, Gino Raya, che fu anche docente di lingua e letteratura francese nelle università, scrittore e acuto saggista, prediligeva quando gli capitavano occasioni di parlare di certi suoi illustri colleghi accademici. La torta a questo punto è pronta, ma prima di metterla nel forno non guasta, a mo’ di ciliegina la formula che può somigliare a quella dell’acqua calda per i nostri giorni invernali di antivigilia rispetto ai prossimi “giorni della merla”, quelli stessi considerati e assunti per come sono ab eterno a riferimenti termici cui il sud di Sicilia, ad esempio, contrappone nelle settimane del solleone “i giorni della ferla”, come altre volte ho avuto occasione di scrivere in omaggio alle bizzarrie ispirate dal vero. Ma non rompiamo il filo e torniamo a Vitruvio quando in vena di spendere a “mangia che del tuo mangi”, si sporge fino a far notare, (quella volta ai suoi contemporanei) che: “Chiamano perfetto i matematici un numero, il quale si compone della somma dei suoi divisori; così è perfetto il sei, i divisori del 6 sono l’1, che lo divide in sei parti; il 2 che lo divide in tre parti; ed il 3 che lo divide in due; infatti poi, l’uno, il due e il tre sommati insieme fanno, appunto, sei”. La ciliegina quindi va pennellata e subito potrà essere infornata la torta dopo avere aggiunto tra il perfectus di Vitruvio e il perfectum di Varrone, che “Nullo può conoscere il proprio perfetto o difetto se non al momento delle tentazioni”.
2 – Ma come poter trascurare o snobbare gli insegnamenti dei Vangeli in materia di perfezione? Citiamo solo quello denominatoriale su cui far assidere l’intera morale di Cristo: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quanto hai, e dallo ai poveri”. Sto immaginando i fruitori di pensioni d’oro italiani, cui rivolgere questo evangelico invito. Tuttavia loro potrebbero rispondermi pigliando tempo ma, ancor meglio e ineccepibilmente, citando la continuazione della lezione evangelica, che conclude con una via di scampo per chi intende salvarsi: “Sarà comunque perfetto chi sia come il maestro suo!”. Da una scuola guidata da maestri ladri e malfattori, non ci sarà scampo: per essere perfetti bisognerà comportarsi come i propri mentori. E qui tutto sarà finalmente chiaro: poiché nessun maestro al mondo ha venduto tutto e donato ai poveri, quindi sia regola di perfezione anzi, il togliere ai poveri per arricchire se stessi … il teorema funziona e la perfezione è stata facilmente, fatalmente raggiunta.