Le Mani di Ingrid Bergman
by
V.S.Gaudio
La pelle mudronica di Ingrid Bergman
è anche quella delle mani, tra viso, sguardo e mani c’è quella certa
visibilità del segreto geografico , che è il supplemento patagonistico. Che,
badate bene, non è nell’ordine dell’enunciabile o della norma che attiene ai
caratteri primari della tipologia geoterritoriale di provenienza, per questo ne
parliamo solo adesso: questo annientamento stesso della longitudine e della
latitudine in una assenza somatica di cui il corpo non può fare altro - oltre
che stancarsi di non sapere dove sia – che contenere, immobilizzarla finanche
in una fotografia, questa qualità che gli appartiene. Sto dicendo che, come
dice Barthes, “il corpo totale è fuori del linguaggio, alla scrittura arrivano
solo pezzetti di corpo; per far vedere un corpo bisogna o spostarlo,
rifrangerlo nella metonimia del suo vestire, o ridurlo a una delle sue parti”[i], e se il monaco Severine
trova a Justine una “decisa superiorità del taglio delle natiche, un calore,
una strettezza indicibile dell’ano”[ii], il poeta, che espatria
il linguaggio in tavole che hanno paura di significare, trova che, adesso che
si fa visionatore di queste mani, che le mani patagonistiche di Ingrid Bergman
fossero, o sono?, come “un ologramma dolce alla vista e al tatto, privo di
resistenza, e quindi propizio ad essere striato in tutti i sensi dal desiderio
come uno spazio aereo”[iii]: da questo eccesso, che
è uno spostamento circospetto, e che potrà avere anche la circonvoluzione di
una passione, il poeta cosa ricava? Fosse stato un viaggio, come quello fatto
insieme alla ragazza di Göteborg, tra metamorfosi
e anamorfosi della Terra, in relazione all’altro, allora tra la 40^ Rivoluzione
Solare del poeta e la 20^ Rivoluzione
Solare della ragazza, tanto che lo spostamento libera il sesso e la cultura,
quel viaggio orbitale in treno, vettoriale, che giocava col tempo, nella
versatilità delle latitudini e delle longitudini, e sfuggiva all’ illusione
dell’intimità[iv];
invece, qui, nella fotografia, il corpo ritrova il suo sguardo, liberato dalle
immagini, quelle del cinema, ritrova l’immaginazione del visionatore e le mani
dell’attante-attrice, questo stato del suo esserci in nostra assenza, ed è
questa sorpresa e sorprendente immanità, questa consistenza oggettiva, questo
trasporto oggettivo, quasi un afferrare come schema verbale o piuttosto un
carezzare e stringere, che è speculare all’individualità morbida del linguaggio:
come il corpo patagonistico, le mani patagonistiche hanno questa consistenza in
sé, un turgore umido, un godimento oggettivo, che è l’apparenza, in tutta la
sua delicata patafisica, così a lungo tenuta in sé o stretta, anche nell’in sé
dell’altrove dell’attante, da dove proviene, dal suo proprio luogo, dal cuore
della sua banalità, dal cuore della sua oggettualità, fa irruzione da tutte le
parti, moltiplicandosi con gaudio da se stessa, colto direttamente, colmo del
godimento lento e spostato di grado in grado, di parallelo in parallelo, di
tempo in tempo, intriso di quel gaudio in cui si è presa o che ha preso con
quelle mani, quasi bagnate della qualità frattale di quel gaudio che lei ha
tenuto e accarezzato con queste mani. L’istantaneità artificiale è l’intensità
dell’immagine: godimento anzi proporzionale all’intensità dell’immagine e alla
sua astrazione massima, vale a dire alla sua pura oggettualità, che ha, adesso che
il visionatore-poeta condensa quell’analemma del gaudio con il suo fantasma,
tutte le dimensioni (somatiche) dell’attante denegate, o non conosciute, il
peso, il rilievo, il profumo, la profondità, il tempo, la continuità, il senso,
l’erezione, il mondo, il pathos, insomma la sua forma segreta.
Che, se il visionatore
è attento, è nelle linee della mano destra, la saturazione nello spostamento
immobile del corpo è come se oltre che occupare i capoluoghi del piacere, il
triangolo, tra la cosiddetta linea mensale e la Saturnina, o Solare che possa
essere, indica questa ricolmatura posizionale: come nell’erotica sadiana,
questa catalisi voluttuosa, o gaudiana, non riesce ad esaurire la combinatoria
delle unità: “resta sempre un supplemento di richiesta, di desiderio, che si
tenta illusoriamente di estinguere, sia ripetendo o permutando le
figure(contabilità dei “colpi”), sia coronando l’operazione combinatoria(per
definizione analitica) con un senso estatico di continuità, di copertura, di
perfusione. Stiamo parlando di quella catalisi somatica di cui scrisse Barthes
per Sade, che è una totalità esistenziale[v]: qui, dall’interno della
mano, dal palmo, dalle linee palmari, la totalità esistenziale dell’attante-attrice
è raggiungibile con l’inondazione: insomma le mani della catalisi somatica, il
triangolo lineare, come un triangolo geodetico, un triangolo somatico per l’operazione
combinatoria del poeta-visionatore: il triangolo e i tre capoluoghi di
provincia e la mano, le mani, con cui, su questo corpo, tutto pesa, aderisce,
passa, leva, immerge, verticalmente, orizzontalmente, fa la cadenza, attacca,
lambisce, copre, perfonde. E’ come quello stadio erotico che è analogo, dice
Barthes, al legato sublime della frase, che si chiama il fraseggiato, che, in quella che abbiamo chiamato la saturazione götata per la ragazza di Göteborg, dandole addirittura una concatenazione
caratterologica: emotiva, attiva, secondaria, la combinazione del tipo “passionale”(EAS), che è il tipo ch riempie, colma, guarda, quello
che si fa di più, una continuità sistematica, costante, incessante, quello che
ha la cadenza persistente e prolungata, quello che rende, da questa surfusione,
incessante il godimento, per condensarlo infine nel gaudio. Il poeta,
specularmente, è in fase non-emotiva,
attiva e secondaria, quando fa il visionatore: nEAS, che è la combinazione
dei fattori del tipo “flemmatico”, il
tipo che prova e testa, verifica e appura, non può che assodare la saturazione-götata, curarla, tenerla d’occhio, sorvegliarla, regolarla,
timoniere o capovoga che vigila sul ritmo di voga, rivede l’armo e il
palamento, tra il suo sguardo, la bocca e il triangolo della mano destra e la pelle mudronica della mano sinistra,
disciplina la palata, governa la rotta. Il fraseggiato del gaudio. Del tocco agonistico
di quelle mani.
[i] Roland Barthes, Sade
II, in: Idem, Sade, Fourier, Loyola,
trad.it. Einaudi, Torino 1977: pag.115.
[ii] Roland Barthes, Ivi.
[iii] Jean Baudrillard, L’esotismo radicale, in: Idem, La Trasparenza del Male, trad.it.
Sugarco edizioni, Milano 1991: pag. 163.
[v] Roland Barthes, trad.cit.:pag.117.