di Mario Grasso
Catania,
aprile 2017
E così anche tu te ne sei andato,
caro Giorgio! Quanta tristezza e quanta nostalgia! Tu che sei stato il più
affettuoso sodale dei poeti italiani dei “nostri tempi”, tu, unico nobile
rabdomante delle scritture creative più bizzarre, nelle quali t’ingegnavi
a evidenziare pagliuzze dorate per tutti, frasi di stima e riconoscimenti di
valori, testimoniando con generosità e slancio di umana partecipazione a favore
del coraggio o delle insicurezze di chi esordiva e di chi continuava. Lo so. Tu
hai capito che molto era cambiato. La tua straordinaria capacità di intuire e
dire, aveva captato i segnali di un’epoca al suo tramonto. Un’epoca cui tu
avevi consegnato piramidi di fonti culturali, strumenti destinati aere perennius, per dirla con il Poeta
latino alludendo alla tua poesia, al tuo essere Poeta in misura omologata alle
altezze dell’opera scientifica che ti venne consegnata per essere condotta a
buon eccelso fine, l’opera immortale del “Grande Dizionario della Lingua Italiana”, una delle tante piramidi di eredità
scientifica i cui titoli, come puntuali rinvii di volta in volta a fervidi
momenti della Letteratura, costituiranno una delle intramontabili eredità
morali delle tue costanti, geniali e profonde ricerche. Adesso ci tentano i
titoli delle cento tue opere come lampeggianti da una tabella di quelle
stazioni ferroviarie che tu hai sempre preferito rispetto agli aeroporti, caro
generoso Amico dei miei anni di vagabondaggi, di cui ti divertivi a chiedere
resoconti. Ricordo settimane intere di tua prestigiosa compagnia, di tue
affettuose solidarietà e sempre graziose, sempre timbrate da generosa umanità.
Tempo di bilanci per quanti ti abbiamo stimato con la confidenza che spezza
ogni riverenza. Quella riverenza che tu meritavi ma che esorcizzavi con il tuo
sorriso e i tuoi principi mai scolorati da quel genere di pretese di tante
altre personalità, pur affabili e care, ma di indole diversa dalla tua. Dirti
addio, no, non me la sento, caro Giorgio, mi sentirei mancare le forze stesse
alla cui crescita molto tu hai contribuito con il tuo insegnamento e con
il tuo esempio con i tuoi avalli a chi cominciava. Niente addio, piuttosto un
rinverdire della memoria e in essa ritrovare tra dediche, doni e
corrispondenze il significato del vivere celando le lacrime anche nei momenti
di strazio che la vita ci propina impietosamente, ma forse per collaudare il
significato che siamo capaci di dare e praticare con i sentimenti nell’era
dell’usa e getta, delle rottamazioni e dei robot.