Vangelli.Ponti geometrici 1950
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Uno dei dipinti di Antonio
Vangelli
che corredavano le 13 poesie di Fidia Gambetti
sul “Carte Segrete”
n.21, di cui, sotto,
riproduciamo la copertina.
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TI VERGOGNI
Non ti vergogni di scrivere
poesie ?
Di’ la verità, sii sincero almeno
con te stesso, ti vergogni di
scrivere
poesie, anche quarant’anni fa
quando ti servisti di un altro
nome e cognome, come eri giovane,
anche allora ti mascherasti
perché
ti vergognavi come un ladro,
non volevi si sapesse che
scrivevi di nascosto poesie.
Oggi sai bene che non si tratta
di un complesso, la gente ti
guarda
davvero stranamente e con sospetto,
peggio, è come se ti credesse
capace di tutto e di nulla solo
perché continui a scrivere
poesie.
POESIA NON POESIA
Ieri non ho scritto un verso
né un versetto né un versuccio
né un versaccio, in compenso ho
vangato l’orto ho falciato l’erba
del prato ho segato la legna
per il camino ho aggiustato
un rubinetto e una serratura.
Non era giorno di poesia, la
classica
aura non circolava intorno o
dentro
di me, la signora ispirazione
in altre faccende affaccendata,
il cuore pulsava a pieno regime
non oppresso da nostalgie e
rimpianti
dalla tristezza dalla rabbia dal
dolore.
Oggi non ho scritto un verso,
in compenso ho innaffiato le
piante
ho potato le rose ho legato le
dalie
ho pitturato il cancello ho
pulito
i vetri ho imbottigliato il vino
ho dato l’acquaramata alle viti
ho fatto lo shampoo alla
macchina.
Nemmeno oggi era giorno di
poesia.
I polmoni dilatati dall’aria
verde
le vene pulsanti di rosso
ossigeno.
Sarà domani il tempo della
poesia?
Scriverò forse un verso un
versetto
un versuccio un versaccio per
cantare
l’inimitabile eccelsa poesia del
silenzio.
VORREI NON VORREI
Non vorrei essere un altro,
perché
dovrei essere un altro? Vorrei
invece essere un usignolo un
ramarro
una libellula una vespa una
lepre,
per cantare volare pungere
saltare.
Vorrei essere una foglia un fiore
un filo d’erba una goccia d’acqua
una conchiglia un granello di
sabbia
una bolla di sapone una pietra
pomice un sasso levigato un rovo
un osso una pallina di vetro
un barattolo di latta una
bottiglia
di plastica una foglia morta.
Non vorrei essere un altro,
perché
dovrei voler essere un altro?
Vorrei essere tutto niente
nessuno.
A NON PIU’ RIVEDERCI
A te che eri la più silenziosa
fra le città del silenzio, con il
tuo
Sant’Apollinare, il tuo San
Vitale
la tua Galla Placidia il tuo
Teodorico
il tuo Alighieri gelosamente
custoditi nello scrigno
dell’ovatta
accumulata dalla grande nebbia
del mare in ritirata nei
millenni,
degli acquitrini e del Candiano,
a te città delle prime notti
brave dei primi letti clandestini
dei primi gonococchi, a te addio.
A non più rivederci “divina
foresta fresca e viva”, acerba
e pazza gioventù di versi e atti
prematuri, strade deserte senza
auto in sosta, ciottoli levigati
dalla noia, zanzariere alle
finestre.
Vedo le lingue di fuoco sulle
alte
ciminiere, i rami gialli dei
pini,
posso piangere di nascosto come
quando dovetti lasciarti,
combattuto
amore, posso piangere tutte
le mie lagrime sul tuo prosperoso
seno petrolchimico perché, ora
sì,
veramente, sei una città morta.
C’ERA UNA VOLTA
Erano gli anni di Girardendo
dell’eterno secondo e di Brunero,
la via Emilia come una moquette
di polvere una pastella di fango.
Erano gli anni delle pillole pink
del ferro china bisleri del
cerotto
bertelli, di Isa Bluette di Lidia
Johnson del signor Bonaventura,
di Tom Mix di Charlot di Buster
Keaton.
Erano gli anni dell’olio di
ricino
del manganello delle spedizioni
punitive in 18 BL, gli anni
della sopraffazione e della resa.
Gli anni della nostra ultima
infanzia
della precoce adolescenza di
esclusi
alla finestra, delle verdi
solitarie
voluttà, gli anni belanti dei
primi
ultimi sonetti delle odi degli
inni.
Un raggio di luna non era che un
raggio di luna, una rosa una
rosa,
l’amore una nostalgia di futuro,
la vita uno spettacolo gratuito
mille interrogativi senza
risposta.
Quanti anni dovevano passare, e
quali,
prima di imparare e a che prezzo,
a dire pane al pane e merda alla
merda?
PONTE GARIBALDI
Avanti e indietro tutti i giorni
dalla piazza del poeta al palazzo
della grazia e viceversa quanti
passi un piede dietro l’altro in
anni venti?
E km. quanti su quattro ruote
in colonna, folle-frizione-prima-
frizione-seconda-frizione-prima-folle,
un metro dopo l’altro respirando
zaffate di ossido di carbonio?
E quanti inscatolato dentro un
pubblico
mezzo, aggrappato a fallici
sostegni,
soffocato da lezzi protostorici?
Al sole alla pioggia al vento
di tramontana e di scirocco
invidiando i viandanti solitari
le tenere coppie i pescatori di
nulla.
E venti anni di scritte sui muri
sopra e sottoriva, venti anni di
cronaca
e di storia, un vero libretto
rosso-nero
di pensieri massime dediche
italiche.
Fino agli ultimi che, grazie ai
progressi
tecnologici, indelebili resistono
alla pioggia e al sole: ANGELA TI
ADORO
MAO I LAVORATORI SONO CON TE
MARCO TI AMO – FORZA ROMA
da □
Fidia Gambetti,
Tredici nuove poesie nuove,
“Carte Segrete” n.21,
Roma gennaio marzo 1973 □
Fidia Gambetti,
Tredici nuove poesie nuove,
“Carte Segrete” n.21,
Roma gennaio marzo 1973 □