PREMIO LETTERARIO NAZIONALE CULDACQU’ALTA
OVVERO: LA MASCHERA E IL VOLTO
di Mario
Grasso
Questa fedele quanto
strabiliante testimonianza a mo’ di cronaca è storia. Storia della Letteratura
italiana al suo prendere forma e abbrivo. I luoghi del suo teatro sono arcinoti lippis et tonsoribus, scritto in latino per
scimmiare (e non scimmiottare) un dativo italiano sul calco ciabattini e barbieri. E va bene. Così bene che è il
meglio tra i migliori della Patria. Lagrippassila infatti è una patriottica
citt’aperta italiana a tutti i traffici universali d’ogni commercio e non le
poteva essere imputata l’eccezione di non avere dalla sua anche la culla (in
veneto “cula”) della Letteratura al suo farsi storia da cronaca che s’era
manifestata in sua base d’autore. E, come si sa, tutto si sa. Come fin d’allora
e in origine l’evangelico “Ciò che farete al buio sarà visto alla più chiara
luce del giorno e quanto direte all’orecchio sarà gridato dai tetti delle
case”. Quest’ultima affermazione potrebbe sembrare calata a metafora
baroccolante se non si ripiegasse con la mente locale al fatto certo che ai
tempi degli Evangelisti non esistevano altoparlanti, consequenziale il salire
sul tetto per meglio propalare. Sia intanto lecito a un siciliano l’incollare
sulla pancia della cometa del Vangelo cristiano una pecetta col proverbio etneo
che asciuttamente ripete: “Lu celu ccu la terra s’han giuratu: non c’è na cosa
ca non s’ha’ sapùtu”. E tutto questo transito a semibaccaglio per concludere su
come sono venuto a conoscenza della verità profonda sulla maschera e il volto
del famosissimo e prestigiosissimo “Premio letterario Culdacq’alta” che come
tutti sanno da stradecenni si svolge nella levantinissima città italiana di
Lagrippassìla, dove si dice Lega e si scrive Liga.
2 - Il “dunque” è
conclusivo ma qui giova trovarlo collocato a inizio di questa cronaca che già è
storia della Letteratura italiana. (Mi perdonerete le spesseggianti maiuscole
iniziali, ma è un vezzo che mi ha contagiato a suo tempo il Cangrande del
broccolo fiorito. Da allora non so astenermene). Dunque, questa rivelazione che
sto per mettere in canna me l’ha sussurrata in aura confidenziale un mio
amicone docente accademico di chiara fama e specchiata. Me l’ha raccontata
propriamente ieri a Milano, dopo avermi invitato a consumare insieme, a casa
sua, una cena a base di crostacei cotti e subito frullati con pomodoro fresco e
crudo e polpa di melanzane turche. Una delizia per il mio palato antico.
Delizia gastronomica condita dal racconto che pari-pari cerco di
ri-riabberciare alla meglio, rispetto all’apprendimento dall’originale
confidenza dell’amicone, di cui taccio il riveribile nome avendo in compenso
rivelato la sua professione accademica d’alto campanile d’Italia, per farne
informazione storica, appunto, per quanti appassionati e patiti di Premi
letterari d’altura, saranno sicuramente interessati a saperne di più. Dunque (e
sono tre) l’amico mi ha spiegato come la Giuria dei tecnici maestri di chiara
fame letteraria – infatti sono adusi a divorare tomi e tomi in due tre giorni,
per onesta digestione delle opere pervenute alla segreteria del Premio Culdacqu’alta
– abbia instaurato il principio di abolire la rivelazione-diffusione dei titoli
dei romanzi e dei nomi dei rispettivi autori che si erano onorati di concorrere
al nobilissimo Premio di Lagrippassìla. E per il semplice motivo di non creare
aspettative in alcuno una volta visto sciorinato in cronache nazionali il
proprio nome di aspirante a un Premio di cosi alt’altura. E di non dare
materiale al gregge dei lettori, i quali per sprovveduti (ma non tutti)
potrebbero svenire di stupore prendendo atto di qualche esclusione a confronto
con le inclusioni.
3 - Il bello si
chiamava Filippo, ci dirà il professore di storia. Ma siccome qui si parla di
Storia della Letteratura italiana, le cose mutano. Infatti stabilito che
l’editore di un libro premiato al Culdacqu’alta non vende meno delle
duecentomila copie, e fiutata la levantina opportunità commerciale compresa
nella tradizione della città di Lagrippassila. Constatata la consuetudine mai
dismessa dei potentati editoriali in lista d’attesa per i turni annuali in
materia di prima scelta-businnes. E stabilito l’infallibile che sono sempre i
Giurati a decidere e ponsare ponderando, ne è derivata (per dire ne è derivato)
la sana blindatura a non rivelare più, come d’uso antico e originario, i
quindici titoli dei romanzi sui centotrenta della pasteggiata dei divoratori di
chiara fame letteraria. Niente! Un niente santissimo nel suo carisma d’occhio
non vede e cuore non duole, di evitare che qualche bastardo mangiacarrubbe si
chiedesse come mai fosse stata ignorata-bocciata una o più d‘una tra le opere
dichiarate finaliste, dalla cui rosa finale, appunto, i famelici avevano
ricavato, a furia di screma che ti scremo, quel paio di “finaliste
pallidine” del business editorial-letterario-premiaculicolo di Lagrippassila.
“Alla faccia della trasparenza”, ha concluso il mio amicone del pasticcio
gastronomico marinorticolo. Ma lui era tra gl’insindacabili Giurati. A nome dei
quali (ritengo) mi ha ammonito: “I tuoi tempi appartengono alla storia
del costume, mio caro e romantico mastro” – testuali parole sue – “adesso
salta chi può. E se tu tieni presente la rappresentazione grafico-geografica
dell’Italia, non puoi ignorare lo iato materiale tra la tua Sicilia e la
Penisola. Per agile che tu sia non potrai mai saltare a piedi asciutti sullo
Stretto per correre a concorrere al Premio di Culdacqu’alta che ha sede nel
nord più a Nord della Penisola, a Lagrippassìla, dove le pietre si chiamano
sassi. Ma cosa ti eri messo in testa? Salta chi può, caro amico, e gli affari sono
affari!”.