!In memoria della
Biblioteca Civica di Cosenza e, per l’incendio del 18 agosto, in memoria dei tre poveri Cristi della famiglia Noce e…della prima stampa del “De rerum naturaiuxta propria principia” di Bernardino Telesio
(...)
Aurélia Steiner fa stáfice a’ra scursénta suisa[1]
e, aspettando lui, mi scrive.
Tremula del desiderio di lui, mârsianu wenzatu
m’nforcuna[2].
Si ricorda di lui con me, perché io sono quello
che non ha.
Sugnu ‘u cianciarusu ca s’ammarcùna[3],
u marsianu togu, a tuféri cafa’ allumella
a’ru Rijarmune[4].
Tencu a cupa[5]
a Praga, dove un tempo
c’era un’officina di mussicottu[6]
con la cappa,
cuttiniju gulasc ‘i patanë c’a zauzizza ‘i
marmuru[7],
senz’u ruffu nun pozzu campari[8].
Il poeta pensa, come quel tale che ha pressato
carta vecchia
qui alla pressa meccanica per trentacinque
anni,
che, per quanto io sia una quadarara ,
non possegga la comprensione della scrittura,
e per quanto io sia una quadarara rom
non abbia posseduto libri di letteratura rom,
il fatto è che non tutti i libri di
letteratura, non solo rom,
siano stati pressati da Hanta,
i tanti libri che tenevamo a casa dove stavo
con i miei genitori e un asino,’nu marmuru,
che, finché visse il mio minego carnente[9],
lui voleva che l’asino imparasse tante cose
quante ne aveva imparate lui.
E qquannu
aucciò ‘nu justrusu ca ‘ncupallizzirijò[10]
dal cielo cadde tanta di quella wenza
ca tutti i suttapropri du Rijarmune
pi ricuglia ‘a mmuscitta ca’cadija non ci
bastarono[11].
I fiumi strariparono e tutt’u Rijarmune fu ‘nu sottaproprio chijno ‘i lenza[12].
‘A lenza allenzò tutt’ a cupa nostrodara[13].
‘A carnante andò issa stissa a’ra scursénta[14]
:
“Chi’cchignju! O’ppi ‘ra proffia da Giramarca,
quantu chignju allinzatu!”[15]
Chjanò asup’a scursénta[16],
cadde e finì ca ‘a lenza la trascinò via con
forza.
Stava pi’nnicara e u minego carnente a’llumò[17]:
“O’ Santa Ràrica ‘i filice! ‘A proffia carnente
s’annīca!”[18]
E ‘u proffio si jetta pur’issu int’a lenza toga
e ssī frīca[19].
Passa nu
justrusu.Passa na’ ‘mbruna.[20]
Accussì sgrânò i scartoccie[22],
tutti i libri da litteratura cuadarara e rom
du Minego Carnente ca issu stissu gli aveva
dato da leggere e da imparare.
Doppu, quannu si sgranò tutt’a litteratura
‘u marmuru nun tinija cchjù niente da sgranare,
accámpānò di sghissa[23].
D’ìchisì
accámpānò ‘a carnante,
accámpānò ‘u Minego Carnente,
accámpānò ‘u Marmuru,
accámpānò ‘a litteratura ammašcānte[24].
questo bagliore ajinico che hanno
le zingare...
Il poeta comprese così che è per questo che non
c’erano libri
da cui imparare la lingua di Aurélia Steiner e
la scienza di Aurélia Steiner,
che sono entrambe nella macchina fotografica
dentro
la quale c’è anche quel suo ritratto
inesistente che gli fece la Zangheri,
che è questo il mistero dell’assolutezza
anonima,
questo bagliore ainico che hanno le zingare
che oscurano ‘u Rijarmune con le gonne
e quando ti guardi attorno le zingare ti stanno
sedute accanto,
una di qua e una di là, si strofinano a te
accarezzandoti con le mani,
con il podice, con le gambe, con i mantici, con
la bocca, con i piedi,
così che si comprende che al mondo non dipende
proprio nulla
dalla scienza e dalla lingua dei libri ma è
tutto soltanto desiderio,
voglia e zucchero candito al rum di Jamaika,
che stanno tutti nella macchina fotografica
dell’oggetto a ,
quella libbra di carne che un po’ è crìpine
duce[25]
di canna candito,
un po’ è ‘a ràrica ‘i filice du marmuru[26],
un po’ è ‘a marmura cafà ‘a polka,
...che fa la statua non al sepolcro Stuart |
un po’ è ‘a caggiurra[27]
che fa la statua non al sepolcro Stuart
ma quando sterra un buco nella terra e tu sei
il visionatore di Morin.
I cieli non sono umani, ma c’è qualcosa forse
più di questi cieli,
la pellicola fantasmata du Rijarmune che ha la
lingua del corpo stupefatto,
il riflesso dell’idea che ha ‘a caggiurra, ‘a
picara[28],
del gaudio perfetto,
che ha dentro e fuori il bagliore ainico,
come Aurélia Steiner l’ammašcānte di Praga
che dice tutto usando dita e corpo in vece di
parole o, meglio, di libri,
che, l’abbiamo saputo, se li è mangiati il
ciuccio che sgranò la letteratura
senza poter essere l’aquilone, che Hanťa e la
zingara insieme fanno volare
nel cielo a Okrouhlìk, e quando la zingara
restituì il rocchetto dei fili
perché aveva il terrore che l’aquilone la
portasse ai cieli,
non è
che in realtà non avesse paura di non vedere mai più Hanta
ma che temesse, per come l’aquilone tirava, di
finire nei cieli
con il ciuccio che aveva mangiato la
letteratura?
│da: !V.S. Gaudio, La Caggiurra di Praga.La Stimmung
con Bohumil Hrabal sulla morte della letteratura│© 2009
[1] “sta alla sua
finestra”.
[2] “conno bagnato mi
chiava”.
[3] “Sono lo spirito che
si sposa”.
[4] “il bel conno, la figa
che illumina il mondo”.
[5] “Abito, tengo casa”.
[6] “fabbro”.
[7] “Cucino gulasch di
patate con la salsiccia di cavallo”.
[8] “Senza fuoco non posso
vivere”.
[9] “padre”.
[10] “E quando venne un
giorno che piovve”.
[11] “tanta acqua che tutti
gli orinali del mondo per raccogliere la merda che cadeva”.
[12] “e tutto il mondo fu
un cantaro pieno di acqua”.
[13] “L’acqua allagò tutta
la nostra casa”.
[14] “La madre andò ella
stessa alla finestra”.
[15] “Che cazzo! Oh, per la
fessa della madonna, quanto cazzo ha piovuto!”
[16] “Salì sul davanzale
della finestra”.
[17] “Stava per annegare e
il padre la vide”.
[18] “Oh, Santa radice del
Gaudio! La fessa della moglie sta annegando!”
[19] “E il fesso si butta
pur’esso nelle acque immense e si frega”.
[20] “Passa un giorno.
Passa una notte”.
[21] “L’asino teneva fame e
per mangiare non teneva un cazzo”.
[22] “Così mangiò i libri”.
[23] “Dopo quando si mangiò
tutta la letteratura il ciuccio non aveva più niente da mangiare, morì di
fame”. Il “Muro della fame”, che è Hladová zed’, che allittera un po’ la
Havlova, foss’anche solo per le fortificazioni, che attraversando il Parco
Petrín , arriva fino a Strahov, intorno al margine meridionale del Piccolo
Quartiere, che fu costruito per la grande carestia che si verificò in Boemia
intorno al 1360, costituisce una sorta di oggetto a speculare ancora ad Aurélia Steiner non solo per via della pietra
ma anche per la fame di cui all’asino che mangia non solo i libri della
letteratura rom, anche per il “muro”, zed’, che si fa nella pallavolo per via
della anzidetta Jana, che nello specchio della fame del poeta riflette
l’angelica iconicità imbronciata della Piccinini.
[25] “Zucchero”; “crípine”
solo sta per “sale”; “crìpine scàwiu” è
il “sale ammoniaco”
[26] “Il fallo dell’asino,
del mulo”.
[27] “la zingara”.
[28] E’ sinonimo di
“caggiurra”.