Nella photostimmung un articolo di Repubblica del
2012 a 24 anni dallo scempio della giovane vita.
Lo
stato attuale delle cose vien qui reso allo scoccare del 29° anno da Iacchite'
|
Uh.Noir│
Il delitto Lanzino
Il corpo celeste a forma di falco e
la società senza linguaggio e senza delitto.
Mini-Lebenswelt di V.S. Gaudio con
Giorgio Manganelli e Giulio Palange sulla Centuria 19 ç In
memoria di Roberta Lanzino
Il
corpo celeste di cui qui si narra è di esistenza improbabile o quantomeno
ipotetica, quantunque possa avere una superficie pari a 19 Km²; tuttavia è
stato avvistato e descritto da frequentatori e abitatori dello spazio –
inquilini di comete, celicoli decaduti, miniaturizzati da asteroidi, che di
solito si avvistano nel cielo di Rende e anche a Castrolibero, cercatori di
polvere cosmica, pastori anche di anime più o meno perdute e pecorari tra i
profondi burroni o i tetri, agghiaccianti sprofondi che sono ai piedi
dell’abitato, in cui un tempo venivano buttati i bambini nati morti, i
paganelli di cui narra anche Giulio Palange[i]-
in modi non solo del tutto simili, anche in infinite udienze e con giudici e pm
intervallati e trasferiti, ma con parole che, nei rispettivi linguaggi, vengono
considerate di uso troppo colto e non solo desueto ma mai parlato dalla scarsa
popolazione del corpo celeste.
Il
corpo celeste ha forma di falco, come un grande uccello con le ali spiegate o
un’amplissima piazza, all’incirca rettangolare, se si esclude la frazione che
porta a 0 metri sul livello del mare la massima altitudine di 1154 e quella
della casa comune del corpo celeste che è a 602 metri circa; il suolo presenta
talune singolarità: per lo più è di nuda terra, senza traccia di erba e nemmeno
di cemento, o di bitume; e tuttavia verrebbe fatto di dirla “nudata”, anche se
ci sarà pure qualche divieto di sosta, o altri cartelli stradali, frammenti di
edificio, carcasse di auto tra i boschi, e perfino qualche volatile,
irrequieto, smanioso lacerto di giornale, almeno un foglio del Quotidiano di
Calabria se non della Gazzetta della Sud, mitologica testata fondata per via
della farina distribuita tra separatisti e alleati, anche forse col ciuccio
delle tre bisacce di Salvatore nostro, con un titolo clamoroso in lingua
inintelligibile – come la testimonianza di un cercatore di polvere cosmica e
del betacismo del greco antico, quantunque, per questo belare, se non altro,
possa essere intesa e in parte compresa dagli abitatori muti e sordi del corpo
celeste, sempre che il titolo fosse loro letto non solo in una delle ormai
saturnine udienze. Il cronista locale avrebbe percorso parte della piazza
celeste, anche in volo, facendo un’altra scoperta, che poteva riuscirgli
fatale, non fosse stato per il suo singolare carattere duplicato: difatti, il
suolo, sebbene apparentemente saldo e continuo, talora si assottiglia ad una
lamina tanto esigua, che cede al passo di un fantasma, che magari ricade nel
pozzo, per via del fatto che il corpo celeste è compreso nella fascia sismica 1[ii];
e sotto si spalanca un pozzo vuoto e liscio ma anche uno di quegli
agghiaccianti, tetri, sprofondi in cui venivano fatti vagare i paganelli. In un
angolo della piazza si è voluto riconoscere l’impronta di una tubatura per
acqua, forse da fontana o da sorgente, detta semplicemente Ayn, manco fossimo in un paese arabo del nord Africa. Intacchi agli
orli, fanno pensare che a codesta piazza abbiano acceduto o accederanno da
altre strade, anche smarrite, altre ragazze in sella al motorino puberale. E’
stato rinvenuto un pettine, unitamente a una lima per unghie di dimensioni
minime, una leggenda metropolitana narra che fosse conficcata nello scroto di
un demone della controra, mezzo porco e mezzo lupo. Un farmacista più
malinconico che depresso ha dichiarato, anche sotto giuramento, di avere scorto
alcune ombre[iii],
e udito voci sommesse e grida in una lingua incomprensibile per la popolazione
di questo corpo celeste così alto nel cielo e nei territori anche demaniali
della galassia infinita, così come è garantito e contemplato nella santa
costituzione della nazione in cui le udienze, per abusi demaniali e violenze e
omicidi nei passi di passaggio, hanno sempre la durata del ciclo di Saturno, 29
anni, per, poi, ricominciare daccapo, se è il caso, anche nel ciclo del Sole,
per via delle tempeste solari, che durerà quindi altri 33 anni, manco fosse un
omaggio ciclico a quel Salvatore nostro della moltiplicazione non solo dei pani
e dei briganti regolarmente autorizzati in ogni punto geodetico e in ogni occupazione
demaniale.
Nello
spazio, al caffè, nei bordelli di lusso, per signori casti e agricoltori
avvezzi al cambiamento di un semplice fonema nel cognome e non nel codice
fiscale, nelle latrine delle università, così come fu caro il topos a Edoardo
Sanguineti, si discute, anche in riva al mare per via della stagione dei bagni,
anche nella frazione dello stesso corpo celeste in volo, si discute se il corpo
celeste sia fuggito da una città o da una nazione odiosa, o sia il centro di una inedita città dello spazio
calabro-albanese; e le voci ed ombre sarebbero già arrivate, come più svelte di
passo, prima degli abitanti, manco se fosse la tenebrosa processione che in
certe notti, con in mano i resti delle loro ossa a mo’ di fiaccola accesa,
percorre le strade del paese recitando litanie di contrizione, che, stando
all’impossibile testimonianza di quell’ignara fornaia che, in una notte da
tregenda, così narra Giulio Palange[iv],
vide un lungo, solenne corteo di persone vestite col saio monacale, il
cappuccio calato sul viso e una torcia in mano, accesa nonostante la fitta
pioggia e il vento, sono incomprensibili anche a chi vive nello stesso corpo
celeste in volo.
In
realtà, osservato attentamente, il corpo celeste presenta caratteri contraddittori: infatti, pare
dominato da una penosa e afosa attesa, manco fosse sempre quella controra di
quel 26 luglio, una dispettosa fiducia nel proprio codice catastale e, insieme,
manda un odor di desolazione, che potrebbe risalire sia alle memorie amare
delle leggende narrate da Palange sia alla memoria indimenticabile di quel
fatto che non è mai accaduto così come viene narrato in cronaca da qualsiasi
media, o alla occulta attesa di una catastrofe, forse un disperdersi nello
spazio attraverso i lisci cunicoli con cui il nulla giunge a sfiorare il suolo
stesso del corpo celeste . Quel fatto, così come fu fatto, in una società che
non ha la lingua o, meglio, non ha linguaggio, anche il linguaggio usato per
definirlo e caratterizzarlo, o semplicemente comunicarlo a grandi linee, vai a
vedere, non essendo espresso, e né indicato, non è un fatto, figuriamoci se è
un delitto di una efferatezza che nemmeno la pulsione S di Leopold Szondi [quella dell’omicidio
sadico, in patologia, che lo
psicoterapeuta ungherese diceva che agisse in sublimazione, socializzata in
mestieri e professioni, come macellaio,
coltellinaio, chirurgo, boia, ma anche boscaiolo, taglialegna, scalpellino, se
non dentista, carrettiere, veterinario, massaggiatore, cacciatore, autista,
colono e professore di ginnastica[v],
anche non di ruolo, si presume] al livello più esplosivo potrebbe far contenere
nei tetri e agghiaccianti sprofondi del carattere umano.
Immaginata
questa società senza linguaggio, sul cui territorio, anche balneare per quanto
sia una società di montagna e di foresta, sia messo in scena un delitto di
cotanta elevata efferatezza, non avendo gli attanti alcun linguaggio, gli
stessi attanti non avranno nessuna perversione. Come dice Barthes, è solo
attraverso l’aggiungersi progressivo di qualche nome che il delitto si troverà
gradatamente a prendere, ad aumentare
di volume, di consistenza e a raggiungere la massima trasgressione[vi],
e anche, diciamo noi, la compiuta nominalità e identità attanziale. Le bestie,
i marrani stessi, i barbari e gli
immondi stanziali avranno un nome e un codice fiscale, e saranno quindi all’interno del sistema
fiscale di quel territorio, su cui è stato effettuato il delitto, con il suo
determinato codice catastale, poi avranno una parentela sempre per effetto
delle prime lettere del codice fiscale e perciò un correlato stato di famiglia,
in cui si potrà constatarne il ruolo e la relazione, se padri, se figli, se
sposati, se celibi. Cosicché il cittadino italiano possa raccogliere questo
montare del linguaggio, in cui la frase finalmente avrà la funzione di fondare
il delitto: la sintassi, anche in un comunicato stampa della stessa autorità
investigativa, affinata da secoli di verbalizzazioni anche del tutto
irrilevanti, diventa un’arte elegante, per quanto in matematica si intenda col
dire che una soluzione è elegante; la sintassi, anche in un verbale di certi
brigadieri sguinzagliati nello stesso periodo sulla costa dell’altro mare di
questa regione di cui fa parte il corpo celeste in volo, mette insieme il
delitto con esattezza e rapidità: per riunire il ratto, l’aggressione, la
violenza carnale, le sevizie, lo strangolamento, le penetrazioni del coltello,
la ferocia, la tortura, la crudeltà, lo stupro, l’assassinio (anche) sul
territorio avente come codice catastale D473, che essendo nella Repubblica dal
nome Italia la cui lingua amministrativa e relazionale è l’italiano, sarà
perseguito in termini esatti e rapidi nel Tribunale competente per quel codice
catastale.
Ma
nel corpo celeste a forma di falco, lo spazio totale non è quello del
linguaggio, né vi potrebbe mai essere un teatro di lussuria in cui riunirsi
ogni giorno nelle ore della controra e in cui tutti gli attanti possano essere
attori e spettatori, non vi è lo spazio della Mimesis, in cui il suo organo
prestigioso, che è la Parola, venga innalzato e i signori, con i propri
quartetti, possano fungere da Uditori; né avranno mai su un panchetto le tre
narratrici che non sono di servizio e che formano la riserva di Parola.
Parimenti, non ha questo corpo celeste quello spazio intermedio tra la Mimesis
e la Praxis, che è quello della virtualità: spazio in cui passerebbe il
discorso, che, traversando, produce o si trasforma gradatamente in pratiche: la
storia quando viene raccontata è come se fosse il programma di uno schema
verbale, di un’azione, che può scaturire solo dalla Parola fondatrice, che non
è quella che quella popolazione del corpo celeste a forma di falco potrebbe
intendere per “besë”: non ha Lingua, né Codice, né Competenza, queste sono le
unità della combinatoria, gli elementi del Sistema, che, qui, evidentemente,
non c’è, anche se, per le ragioni amministrative di un qualsivoglia territorio
dotato di codice catastale, avrà qualche parola monetizzata[ non fosse altro
che la parola “lejlek” che, essendo
letteralmente la “legge della moneta”,
è essenzialmente, anche nelle registrazioni commerciali, la “cicogna”], l’esecuzione [non fosse altro
quella degli assistenti Unep così esecutivi e risolutivi e vincenti, come un
cavallo fortunato, nelle famigerate
preture distaccate], il sintagma che è un po’ come la frase detta[non fosse
altro tutta quel massimario che ruota attorno alla Frase detta fondatrice:”Lass’u lūpë eppìgl ‘ubbrèsc!”], in
definitiva il territorio del corpo celeste a forma di falco è il luogo dove non
si passa, e dove non si passa non dal fatto alla parola ma dal misfatto alla
parola, tanto c’è la frase detta, che è la frase detta forse primordiale, solo
che non attraversa uno spazio di trasformazione e nemmeno i tribunali della
Repubblica, e quindi non è che non generi un secondo testo, non parla proprio. La
barra del confessionale di solito separa suono e vista, come la legge
classificatrice che, non esageriamo, fonderebbe la trasgressione(la barra anima/carne), come mai potrebbe essere
semplicemente presupposta in un luogo in cui la situazione sadica del soggetto
che si confida al suo boia non può essere mai introdotta nella “scena”, essendo
quel corpo celeste il luogo che non ha linguaggio?
[i]
Cfr.Giulio Palange, FALCONARA ALBANESE. I paganelli, in: Idem, La regina dai tre
seni. Guida alla Calabria magica e
leggendaria, Rubbettino 1994.
[ii]
Stessa fascia sismica del comune con il codice catastale D473.
[iii]
Ci si riferisce al farmacista di cui alla Centuria Diciannove di Giorgio
Manganelli: Idem, Centuria.
Cento piccoli romanzi fiume, Rizzoli
1979. Altrimenti, avremmo reso, qualora fossero state pertinenti, le
dichiarazioni di almeno tre attanti delle pompe funebri, vista la presenza così
cospicua in un corpo celeste con così poche anime stanziali.
[iv]
Cfr. Giulio Palange, loc.cit.La tenebrosa processione, in:
op.cit.
[vi]
Cfr. Roland Barthes, Il linguaggio e il
delitto, in:Idem, Sade
II, in: Idem, Sade,
Fourier,Loyola, trad.it.Einaudi 1977.