L’OMBRA
Quando cammino per le strade
o cavalco un aquilone
e guardo la mia ombra
giù sul manto della strada
e seguo la mia ombra
dilaniata dalle buche e dagli anfratti
il tormento che mi prende mi raggela
mi sgomenta questa vuota condizione
del mio essere lontano dal suo corpo.
Quando dico queste cose mi domando
quanto senso non avrebbe la mia vita
senza il cumulo di luce
che divarica e violenta questo corpo.
Quante note del linguaggio
ho qui trascritte
per esprimere il mio senso di rancore
per quell’essere lontano dal mio corpo
che s’allunga, che scompare
che continua a seguitare
il suo strano attaccamento
a questo corpo?
Come posso adesso dire
che volendo ingigantire
questo corpo senza carne
devo starmene alla luce
d’un fanale e d’una stella?
Come posso divenire quel qualcuno superiore
che manipola le cose della terra, del vangelo, del
creato
se nessuno ha dimostrato che la terra possa vivere
da sola nello spazio senza luce né calore?
DISNEYLAND –
RITRATTO DI UN AMERICANO
Amava cavalcare i cavalli di cartapesta
della giostra ubriacandosi d’emozione al suono
delle campanelle – giù dalla piattaforma in moto
per risalirvi appena la spirale lo richiamava
alle mirabolanti cavalcate dei suoi soldati di
piombo.
Folate di vapore umano braccato
all’improvviso lungo la schiena di
un rinoceronte che cerca un lago
ove affondare la sua corpulenza.
Vagava sfogliando il suo libro di memorie:
la fiaba di Cenerentola; 20.000 leghe sotto i mari
I
VIAGGI DI GULLIVER
brulicava di fantasticherie grondante
e arrossato dalla calura vertiginosa
FELICE
DEL TRAMONTO
Folate di nebbia sconvolsero il mondo
dei piccoli – inghiottendo un americano
tradito dal suo gusto di rimanere bambino
REQUIEM
RACCONTO DI
UNA GIOVANE EBREA
Avevamo cominciato con l’essere donne tribali
e con gli uomini spaccammo la terra
e nutrimmo i nostri figli di latte materno
e la notte accendemmo i candelabri
perché la luce illuminasse la fatica
dei figli e servi di Dio
EBBRI
DI GLORIA
Volete sapere chi sono?
UCCISERO
UN UOMO
Avevo sei anni: seppi che un uomo era stato
crocifisso
Diceva d’essere lui, il figlio di Dio,
e predicò la pace, accusando.
Avevo dodici anni, e quell’uomo era morto
e io leggo l’angoscia negli occhi di sua madre
e il segno di un’ultima carezza
nella sua mano distesa
SENZA
PIÙ VITA
Ora non spacco la terra
e di notte non amo la luce
e non nutro di latte materno mio figlio.
Datemi la forza d’un uomo, perché possa sentirmi
non più donna, tra di voi.
Ma la notte, al buio, drogata
lasciatemi giacere sul mio letto d’emozioni
perché possa soffrire il parto di una donna
SENZA
SPERANZA
PIGGY, IL
PICCOLO MESSICANO DI LOS ANGELES
È da
stamane che gioco ai birilli
in un parco
per bimbi
cresciuti
sull’erba dei prati
di ville
recinte con cespi di fiori
con vasche
di pesci muschiose.
Compagni di
gioco con giacche e berretti
e calze di
lana tirate ai ginocchi
guardati da
donne in grembiule
protetti da
occhi discreti
d’un uomo in
divisa e cappello.
Bambini
graziosi e biondicci
le carni
lavate di fresco
friabili e
bianche di gesso
dai frigni
insolenti, ossequienti
al cappello
dell’uomo di paglia.
Una gabbia
di polli evirati
nutriti di
latte scremato
di burro ed
estratti di dado
biscotti
arricchiti di malto
polpette di
carne alla griglia.
Io son
bruno, ho la faccia olivastra
i capelli
corvini tirati all’indietro:
un puzzo di
grasso animale
che m’esce
dal corpo grassoccio
vi spiega
quel nome vezzoso.
Ancora a sei anni nella baia di Ensenada
correvo a piedi nudi sui sassi riversi sulla
spiaggia
granulosa inseguendo con la voce i branchi di foche
distese sul ventre contro le rocce levigate
delle isolette di fronte alla villa dei Baker
che mio padre custodiva da padrone per undici
mesi l’anno.
Ora ho
varcato il confine,
la legge
protegge i bambini immigrati
concede il
diritto allo studio,
proibisce
di discriminare
sui campi
di gioco.
E io gioco
con bimbi diversi da me
sentendoli
come fratelli
ma fratelli
non sono
perché
nessuno di loro
si chiama
Manolo.
Nessuno di
loro ha mai visto
un tricheco
guaire di notte
e affondare
con squassi potenti
nel cerchio
di luna rappreso
sul mare lì
sotto gli scogli.
Nessuno di
loro ha nuotato di notte
guizzando
tra pesci e impregnando
di alghe
marine il suo corpo.
Nessuno di
loro avrà più
il mio
sapore ferino.
Io continuo
a chiamarmi Manolo
loro
continueranno a dirmi Piggy.
E Piggy
certamente io sono
perché
continuerò ad amare il mio corpo
mentre loro
lo disprezzeranno.
→ Ignazio Apolloni ⁞ La grandezza dell’uomo □ a cura di
Alessandro Gaudio│
□ con una divagazione ziffiana di V.S. Gaudio | poesia
italiana, antigruppo ’73, avanguardia, letteratura, palermo, step-style di
Niusia, s...
V.S.Gaudio Niusia, l'insolubilità della letteratura introduzione alla 2^ edizione di Ignazio Apolloni, Niusia, Palermo 2012 |
→ La poesia lineare con lo step-style di Niusia e divagazione ziffiana sulla poesia lineare e l’abbandono
di Apolloni per la Singlossia ▬
by V.S.Gaudio □
1. Questa raccolta di poesie
Ignazio Apolloni la pubblicò nel primo volume dell’Antigruppo 73[1];
si dice che erano poesie degli anni cinquanta. C’è dentro la pulsione lineare,
son poesie lineari, scrisse inviandogli il dattiloscritto ad Alessandro Gaudio
nel XXI secolo, sei anni fa, mi pare; la pulsione lineare dello step-style che,
poi, sarà quello di Niusia[2].
2. La poesia, voi lo sapete, è un
po’ come quando se non scrivi per lamentarti, il prodotto che hai ordinato non
arriverà mai. Poi, se scrivi per lamentarti, il prodotto arriverà prima che la
tua lettera giunga a destinazione. La poesia è così, in più è come il primo
prodotto in ordine di importanza in un elenco che non sarà più disponibile.
3. La poesia lineare, disse
Apolloni, non mi va più e si mise a fare le singlossie e romanzi lunghissimi e
tanti racconti, scrisse anche lettere infinite d’amore e favole. Insomma,
Ignazio pensava che la poesia lineare fosse una figura retorica, nel senso che
gli parve che fosse a disposizione di tutti per l’estensione di Iske alla legge
di Parkinson: “lo stomaco si espande fino a contenere tutte le vaccate
disponibili”. Lo stomaco, per via di quella figura retorica, si può pensare che
debba essere un bell’editore a pagamento, che, di suo, che fa? Vende banane
acerbe: tu le compri e le mangi prima che siano mature; quando vai in libreria,
invece, trovi le banane mature, le compri e quando arrivi a casa, adesso le
mangio e son bell’e marcite tutte quante.
4. La poesia lineare è come la
lunghezza di un minuto, dipende dalla distanza che c’è tra il lavello in
cucina, quando stai per lavare i piatti, e proprio allora ti scappa, e il
bagno, che, anche a casa tua, è sempre in fondo, ma in fondo, sulla destra, ed
è sempre occupato, e non hai i servizi doppi, perché spendi tutti ‘sti cazzi di
soldi per pubblicarti le poesie lineari.
5. La poesia lineare è come
l’ombra, quando cammini per strada o cavalchi un aquilone e guardi la tua ombra
e segui la tua ombra, il tormento che ti prende ti raggela, ti sgomenta, la
poesia lineare è questa vuota condizione del tuo essere lontano dal suo corpo;
con la poesia lineare vorresti manipolare le cose della terra e intanto
cavalchi i cavalli di cartapesta, ti fai pesce, uccello, omuncolo, gatto, cane,
bove, non fumi, tutto tace, lungo i giorni più tristi che sarebbero venuti
sull’orlo della ciminiera che s’era
sbriciolata ed era accesa e impennacchiata, come il castello di Bastogne.
(...)