Ignazio Apolloni ⁞ L'ombra, Piggy, Disneyland e la poesia lineare

L’OMBRA



Quando cammino per le strade
o cavalco un aquilone
e guardo la mia ombra
giù sul manto della strada
e seguo la mia ombra
dilaniata dalle buche e dagli anfratti
il tormento che mi prende mi raggela
mi sgomenta questa vuota condizione
del mio essere lontano dal suo corpo.

Quando dico queste cose mi domando
quanto senso non avrebbe la mia vita
senza il cumulo di luce
che divarica e violenta questo corpo.

Quante note del linguaggio
ho qui trascritte
per esprimere il mio senso di rancore
per quell’essere lontano dal mio corpo
che s’allunga, che scompare
che continua a seguitare
il suo strano attaccamento
a questo corpo?

Come posso adesso dire
che volendo ingigantire
questo corpo senza carne
devo starmene alla luce
d’un fanale e d’una stella?

Come posso divenire quel qualcuno superiore
che manipola le cose della terra, del vangelo, del creato
se nessuno ha dimostrato che la terra possa vivere
da sola nello spazio senza luce né calore?


DISNEYLAND – RITRATTO DI UN AMERICANO



Amava cavalcare i cavalli di cartapesta
della giostra ubriacandosi d’emozione al suono
delle campanelle – giù dalla piattaforma in moto
per risalirvi appena la spirale lo richiamava
alle mirabolanti cavalcate dei suoi soldati di piombo.

Folate di vapore umano braccato
all’improvviso lungo la schiena di
un rinoceronte che cerca un lago
ove affondare la sua corpulenza.

Vagava sfogliando il suo libro di memorie:
la fiaba di Cenerentola; 20.000 leghe sotto i mari
             I VIAGGI DI GULLIVER

brulicava di fantasticherie grondante
e arrossato dalla calura vertiginosa
             FELICE DEL TRAMONTO

Folate di nebbia sconvolsero il mondo
dei piccoli – inghiottendo un americano
tradito dal suo gusto di rimanere bambino
             REQUIEM



RACCONTO DI UNA GIOVANE EBREA



Avevamo cominciato con l’essere donne tribali
e con gli uomini spaccammo la terra
e nutrimmo i nostri figli di latte materno
e la notte accendemmo i candelabri
perché la luce illuminasse la fatica
dei figli e servi di Dio
             EBBRI DI GLORIA

Volete sapere chi sono?
             UCCISERO UN UOMO

Avevo sei anni: seppi che un uomo era stato crocifisso
Diceva d’essere lui, il figlio di Dio,
e predicò la pace, accusando.

Avevo dodici anni, e quell’uomo era morto
e io leggo l’angoscia negli occhi di sua madre
e il segno di un’ultima carezza
nella sua mano distesa
             SENZA PIÙ VITA

Ora non spacco la terra
e di notte non amo la luce
e non nutro di latte materno mio figlio.

Datemi la forza d’un uomo, perché possa sentirmi
non più donna, tra di voi.

Ma la notte, al buio, drogata
lasciatemi giacere sul mio letto d’emozioni
perché possa soffrire il parto di una donna
             SENZA SPERANZA



PIGGY, IL PICCOLO MESSICANO DI LOS ANGELES



    È da stamane che gioco ai birilli
    in un parco per bimbi
    cresciuti sull’erba dei prati
    di ville recinte con cespi di fiori
    con vasche di pesci muschiose.

    Compagni di gioco con giacche e berretti
    e calze di lana tirate ai ginocchi
    guardati da donne in grembiule
    protetti da occhi discreti
    d’un uomo in divisa e cappello.

    Bambini graziosi e biondicci
    le carni lavate di fresco
    friabili e bianche di gesso
    dai frigni insolenti, ossequienti
    al cappello dell’uomo di paglia.

    Una gabbia di polli evirati
    nutriti di latte scremato
    di burro ed estratti di dado
    biscotti arricchiti di malto
    polpette di carne alla griglia.

    Io son bruno, ho la faccia olivastra
    i capelli corvini tirati all’indietro:
    un puzzo di grasso animale
    che m’esce dal corpo grassoccio
    vi spiega quel nome vezzoso.

Ancora a sei anni nella baia di Ensenada
correvo a piedi nudi sui sassi riversi sulla spiaggia
granulosa inseguendo con la voce i branchi di foche
distese sul ventre contro le rocce levigate
delle isolette di fronte alla villa dei Baker
che mio padre custodiva da padrone per undici
mesi l’anno.

    Ora ho varcato il confine,
    la legge protegge i bambini immigrati
    concede il diritto allo studio,
    proibisce di discriminare
    sui campi di gioco.
    E io gioco con bimbi diversi da me
    sentendoli come fratelli
    ma fratelli non sono
    perché nessuno di loro
    si chiama Manolo.

    Nessuno di loro ha mai visto
    un tricheco guaire di notte
    e affondare con squassi potenti
    nel cerchio di luna rappreso
    sul mare lì sotto gli scogli.

    Nessuno di loro ha nuotato di notte
    guizzando tra pesci e impregnando
    di alghe marine il suo corpo.
    Nessuno di loro avrà più
    il mio sapore ferino.

    Io continuo a chiamarmi Manolo
    loro continueranno a dirmi Piggy.
    E Piggy certamente io sono
    perché continuerò ad amare il mio corpo
    mentre loro lo disprezzeranno.

→ Ignazio Apolloni ⁞ La grandezza dell’uomoa cura di Alessandro Gaudio│  
□ con una divagazione ziffiana di V.S. Gaudio | poesia italiana, antigruppo ’73, avanguardia, letteratura, palermo, step-style di Niusia, s... 

V.S.Gaudio
Niusia, l'insolubilità della letteratura
introduzione alla 2^ edizione di
Ignazio Apolloni, Niusia, Palermo 2012

→ La poesia lineare con lo step-style di Niusia e divagazione ziffiana sulla poesia lineare e l’abbandono di Apolloni per la Singlossia
by V.S.Gaudio




1. Questa raccolta di poesie Ignazio Apolloni la pubblicò nel primo volume dell’Antigruppo 73[1]; si dice che erano poesie degli anni cinquanta. C’è dentro la pulsione lineare, son poesie lineari, scrisse inviandogli il dattiloscritto ad Alessandro Gaudio nel XXI secolo, sei anni fa, mi pare; la pulsione lineare dello step-style che, poi, sarà quello di Niusia[2].

2. La poesia, voi lo sapete, è un po’ come quando se non scrivi per lamentarti, il prodotto che hai ordinato non arriverà mai. Poi, se scrivi per lamentarti, il prodotto arriverà prima che la tua lettera giunga a destinazione. La poesia è così, in più è come il primo prodotto in ordine di importanza in un elenco che non sarà più disponibile.

3. La poesia lineare, disse Apolloni, non mi va più e si mise a fare le singlossie e romanzi lunghissimi e tanti racconti, scrisse anche lettere infinite d’amore e favole. Insomma, Ignazio pensava che la poesia lineare fosse una figura retorica, nel senso che gli parve che fosse a disposizione di tutti per l’estensione di Iske alla legge di Parkinson: “lo stomaco si espande fino a contenere tutte le vaccate disponibili”. Lo stomaco, per via di quella figura retorica, si può pensare che debba essere un bell’editore a pagamento, che, di suo, che fa? Vende banane acerbe: tu le compri e le mangi prima che siano mature; quando vai in libreria, invece, trovi le banane mature, le compri e quando arrivi a casa, adesso le mangio e son bell’e marcite tutte quante.
4. La poesia lineare è come la lunghezza di un minuto, dipende dalla distanza che c’è tra il lavello in cucina, quando stai per lavare i piatti, e proprio allora ti scappa, e il bagno, che, anche a casa tua, è sempre in fondo, ma in fondo, sulla destra, ed è sempre occupato, e non hai i servizi doppi, perché spendi tutti ‘sti cazzi di soldi per pubblicarti le poesie lineari.

5. La poesia lineare è come l’ombra, quando cammini per strada o cavalchi un aquilone e guardi la tua ombra e segui la tua ombra, il tormento che ti prende ti raggela, ti sgomenta, la poesia lineare è questa vuota condizione del tuo essere lontano dal suo corpo; con la poesia lineare vorresti manipolare le cose della terra e intanto cavalchi i cavalli di cartapesta, ti fai pesce, uccello, omuncolo, gatto, cane, bove, non fumi, tutto tace, lungo i giorni più tristi che sarebbero venuti sull’orlo della ciminiera che  s’era sbriciolata ed era accesa e impennacchiata, come il castello di Bastogne.
(...)

[1] Antigruppo 73, a cura di Vincenzo Di Maria e Santo Calì, Cooperativa Operatori Grafici – Giuseppe Di Maria Editore, Catania 1972.
[2] Ignazio Apolloni, Niusia, Palermo 1976.