䷠
: sopra, il Cielo ☰
; sotto,
il Monte ☶
: la forza del sintagma in ombra che ascende, il ritirarsi, che è il
cielo che, in quanto paradigma, si fa distanza, uno stato irredento
dell’identità di percezione, che, è dal sei al secondo posto, quello della carica
connotativa, si fa assoluta, come se fosse vincolata “con giallo cuoio di bue”
e nessuno è in grado di strapparlo. L’identità di percezione nel ritirarsi,
nella ritirata serena, che è, appunto, il cedere; questo vuol dire che la brevità del verso, che è un po’ il fiato
corto del percepire, avanza e cresce, e resta presso la coda, lì all’inizio
dell’esagramma, quando il codice non è proprio ristretto ma non è nemmeno
elaborato.
La poesia di Alejandra Pizarnik è così che è
fatta: dal lato del rosso carico, c’è il freddo, il ghiaccio, e anche un buon
cavallo vecchio o selvaggio che sia; sotto, è come essere per sentieri montani,
piccoli sassi e un cane che fa la guardia, e,poi, a ben guardare, una serie
infinita di porte e di aperture, che non sai mai se siano nel senso o, tonde,
nel sintagma, ma nel sintagma che sta nel trigramma superiore, nel cielo, che è
diritto, è il drago, è la sopravveste, è la parola.
Intelligibilità alta:linea intera sopra
|
— |
Complessità bassa:linea intera al 5° posto
|
— |
Ambiguità alta:linea intera al 4° posto
|
— |
Pregnanza alta:linea intera al 3° posto
|
— |
Carica connotativa buona:linea spezzata al 2° posto
|
- -
|
Codice non elaborato:linea spezzata all’inizio
|
- -
|
2
|
.Un po’ come Anna Malfaiera, Alejandra
Pizarnik sembra che faccia di tutto per moderare o, addirittura,
nascondere uno stile robusto se non sublime: lo stile, più che sottile, è
elastico e, più che solido, è resistente; è dentro un Regime Notturno, ma non con
l’adesività che in Italia ha Rosita Copioli, i cui passi sintagmatici hanno più
che l’archetipo del caldo una sorta
di intimità vissuta in superficie[iii];
l’intimità sintagmatica di Alejandra Pizarnik non si virtualizza con lo schema
verbale del Penetrare, ma è come se, per il trigramma inferiore che rattiene il
codice, la carica connotativa e la pregnanza, l’intimità sintagmatica della
poetessa argentina avesse una dominante di posizione connessa all’archetipo
epiteto dell’ intimo; per questo, il
suo alter ha una sensorialità
immediata ma viepiù diacronica, e, viceversa, sembra persistente e visibile, ma
in realtà la struttura schizomorfa del separare/mescolare
ne sta facendo una sorta di archetipo sostantivo tra l’ androgino o il dio plurale,
fuoco o albero che possa essere.
Per questi
sentieri, si approda ad un paradigma che contiene la levigazione, che ci lascia
intravvedere uno sviluppo estetico delle fantasticherie relative allo
sfregamento: “Vesta non solo è la dea del focus,
ma anche del pistrinum, il mulino da
cereali ed olio della casa romana”[iv].
Così, se Giulia Niccolai usa la freccia, o il baculus, la Copioli l’aratro, senza che si vada di nuovo a far
girare la “rota Vergilii”, Alejandra Pizarnik usa il pistrinum, che è come dire che nella sua poesia “il mulino
primitivo si vede contaminato dal fuoco grazie allo schema dello sfregamento
ritmico”[v].
Lo sfregamento
ritmico nel Regime Notturno non ha mai a che fare con la melodia; d’altronde, è
il tamburo, come tutte le cose che stanno in alto, che, in forma di clessidra,
è il cielo, il trigramma superiore, e la terra, il monte, il trigramma
inferiore, e che nel campo dell’altezza del suono sta tra la voce della donna,
che è la poetessa, e la frase, la parola, lui che è il suono grave della voce
dell’altro; pare che si stia suonando il tamburo demiurgico o sfregando
l’arpa-liuto.
Tra il fuoco,
l’attrito e il girare, la sessualità e la musica, il pistrinum stilistico di Alejandra Pizarnik ha qualcosa del teatro di
Antonin Artaud, è nella verticalità del significante e nella fallicità
dell’albero, ed è nella misura del tempo che il pistrinum
, come la ruota, l’albero, il legno o la croce, non cessa mai di produrre un fuoco irreversibile.
Come il mio
grido che cessa di girare su se stesso quando recito ma che risveglia il suo
doppio sorgivo nelle mura del sotterraneo, e questo focus del pistrinum è
come il doppio è più di un’eco, è il ricordo di un linguaggio di cui la poesia
ha perduto il segreto.
Grande come una
conca si può tenere nel cavo di una mano, questo segreto, diceva Artaud[vi],
e tutto ciò sarà prossimo a un grido enorme, a una sorgente di voce umana. Una
sola e isolata voce umana, come un guerriero che non avrà più esercito, la
poesia del pistrinum è come una
grande veglia, dove sono io a guidare la fatalità, soffio a soffio e tempo a
tempo, lo sfregamento ritmico del pistrinum
è il grido che ho sognato, e per farlo passare, bocca a bocca e soffio a
soffio, non nell’orecchio del lettore ma dentro il suo petto, e quando arriva
suscita dapprima un fondo di silenzio, di silenzio che si contrae, poi il
rumore di un cielo che si apre sul monte, un rumore d’acqua, perché il rumore è
legato alla poesia, e così che in ogni vera poesia procede il ritmo bene
inteso, lo sfregamento del ritmo, il pistrinum.
3
|
.Tra la pregnanza e l’ambiguità,
cioè tra la linea al 3° posto e quella al 4° posto, dove il monte fende il
cielo c’è tutto il peso e la densità rarefatta della poesia di Alejandra
Pizarnik.
Come un centro
di gravità che non favorirebbe relazioni ordinative come la simmetria, la
continuità e la transitività.
Le mutazioni
semantiche, lo si sa, si possono caratterizzare in due modi: qualitativamente
secondo la loro natura e quantitativamente secondo la loro importanza. Alejandra
Pizarnik fa fare sempre un salto verso una maggiore distanza tra gli
elementi di una definizione e quindi affina la densità, con l’uso della
preposizione “en”, che, nella tavola delle preposizioni in spagnolo di cui a Brøndal[vii],
è nella casella che connette la relazione asimmetrico-simmetrica con la
transitività, un po’ come si fa anche
con “entre”.
Questa doppia
relazione indica contemporaneamente una direzione e la direzione contraria,
esprime la nozione di ritorno al punto di partenza nello spazio, nel tempo o in
una serie, ma, allo stesso tempo, essendo transitiva, la linea percorsa può
simbolizzare l’attualità, l’imperfettività, la durata; insomma, fa un tutt’uno
con lo schema verbale del separare/mescolare
, che è appunto iterativo ma non è reversibile.
La transitività
asimmetrico-simmetrica della poesia di Alejandra Pizarnik, tutta connessa al pistrinum che fa da “dominante di
posizione”, attua sempre un certo “geometrismo”, e voi vedete che l’orizzonte
non c’è, anche se, come in Mara Cini, “l’Altro
è indicato come per esperirlo in piena concretezza”[viii],
la poesia transitiva asimmetrico-simmetrica di “en” e di “entre” tocca nel
visibile il reciproco della sfera tattile, che è attualmente presente nella
sfera dell’udibile.
Tra “Occhio del
Padre” e “Recinto”, come simboli asimmetrico-simmetrici e transitivi, quando
l’immaginario non è però casto né diurno, come quello, appunto di Mara Cini, va
a finire che dovremmo fare una capatina nel seminario di “ciò che entra nell’orecchio” di Lacan, per saperne di
più sulla levigatezza del sintagma o lo sfregamento ritmico di “en” e “entre”,
che sono speculari alle preposizioni intransitive “contra”, “hacia”.
Qui bisogna dire che il movimento accentato in
una poesia, che è dato dal rapporto formale e qualitativo delle preposizioni,
determina un centro di gravità che funziona come una sorta di bioritmo, i cui
cicli di armonia, simmetria, asimmetria, transitività, intransitività,
determinano l’andatura, lo stile, di quel fare poesia. La relazione
transitivo-discontinua che è valore base nella poesia della Pizarnik mi ricorda
a tratti certi punti della poesia della semplice integrità di Ginestra
Calzolari, forse quando l’io acrobata del testo risolve l’Ilinx della vertigine
e la boxe-orchidea della poetessa bolognese assume una posizione di guardia, e
ha una ragione di raccoglimento e la maschera afferra l’Ilinx, il centro di
gravità immobilizza
l’identità di percezione[ix]?
[ii] Per il metodo con cui si ottiene l’esagramma
dell’I King correlabile allo stile del poeta, cfr. V.S. Gaudio, Cesare Ruffato: la semantica gergale e
razionale dell’idioletto corporeo, I quaderni di Hebenon, Torino 1999; Idem,
Amelia’s Spring. La Stimmung con
Amelia Rosselli, “Zeta” n.82, Udine
dicembre 2007.
[iii] Cfr. Vuesse Gaudio, Immaginario e fenomenologia dell’altro, “La Battana” n.130, Riijeka
ottobre-dicembre 1998.
[iv] Gilbert Durand, Le strutture antropologiche dell’immaginario, trad. it. Edizioni Dedalo, Bari 1972: pag.334.
[v] Ibidem.
[vi] Cfr. Antonin Artaud, Il Teatro di Séraphin, in: Idem, Il Teatro e il suo doppio, trad. it. Einaudi, Torino 1968.
[vii] Viggo Brøndal, Teoria delle preposizioni¸ trad.
it. Silva editore, Milano1967:vedi
Appendice.90.