Mario Grasso ⁞ Voli di Caprimulgo


VOLI DI CAPRIMULGO


“Il popolo  è mostro senza testa, il primo che passa gliela presta”. Sarà proprio così o è una battuta con la rima del genere banalgrande? Da quando in Italia tra Democrazia  e Repubblica tutto è all’insegna del Popolo il detto del mostro senza testa non sembra degno di essere preso sul serio. Anche se non sono stati in pochi nel passato prossimo e nel Lombardo-Veneto a correre dietro alle teorie della buon’anima di Miglio e alle divagazioni  populiste del Bossi, novello sacerdote delle acque del Po. Poi, siccome tutto scorre e tutto corre anche se non più alla velocità dei tempi di “Panta rei” ma da protagonisti come siamo oggi  tra turismi, jet-set e distrazioni internet, immersi nell'onnipotenza magica delle tecnologie, uno qualche pensiero mirante a scaricarsi di pensiero è indotto a concepirlo. O attuarlo.
    I più mentalmente evoluti mugugneranno che non si tratta altro che di spontaneo ricorso vichiano. I più lo hanno sentito dire e lo ripetono a pappagallo magari scambiando, i nuovi maestri, il Vico per un abbreviativo poetico di vicolo. Ma si tratta di minimalismi rispetto al sovrastare della straordinaria memoria che il popolo esibisce a fronte dei premi che continua a elargire a senso unico sul modello antico Cristo/Barabba. E se questa è la realtà non resta che prenderne atto da parte di quella altrettanto eterna rappresentanza minoritaria fatalmente succuba e in sospetto di subliminali componenti maso. Infatti sono rare le vere rivoluzioni rispetto alla frequenze di mini-repliche di Notte di San Bartolomeo.
2.     Il capitolo delle pallosità in materia – per esempio – di Italia unita/Italia divisa, si potrebbe far cominciare dai tempi in cui ci viene ricordato che una volta l’Italia stessa era divisa in tanti piccoli Stati. Palloso perché non siamo i soli a sapere che “Indietro non si torna”. Meno palloso se traducendo dal triestino all’italiano i versi di una canzonetta popolare in voga in altre stagioni si medita sulla sorgente e sulla scaturigine dei versi di quel remoto motivetto che ammette un momento visionario dell’aquila bicipite degli Asburgo con sventolio di alabarda “sovra i monti di Trieste”. Un momento tra sogno e veglia abbastanza spontaneo, giustificabile in una città che continua a esibire con il castello di Miramare una testimonianza abbastanza significativa, anche se rivoltata a evocare, turisticamente, quanto Giosuè Carducci fa devolvere “alla grand’alma di Guatimozino imperante nel padiglion del sole”.  E torniamo alla canzonetta i cui versi  che maldestramente dall’impeccabile figuralità del dialetto triestino, versiamo nella lingua di comunicazione nazionale. “Ho visto svolazzare la gallina con due teste sopra i monti di Trieste e sventolare l’alabarda, qui si beve, qui si mangia qui si vive tra l’abbondanza, qui le belle ragazze non mancano, evviva evviva!”-  Certo, Trieste è Trieste direbbero gli elogiatori di La Palisse, infatti con meno enfasi lapalissiana noi saremo i primi a sciorinare un elenco di ragioni vere a favore di quel corridoio “Piccola Europa” che fa capo al mare del Nord per sboccare nel golfo della Trieste di Svevo e Joyce, dopo che, quella ormai remota volta, passava per Vienna sostando per qualche momento per una visita di omaggio a un certo signor Sigmund Freud nel di lui studio. Altri tempi, ma tali da aver segnato l’angolo di residenza di una civiltà cui in seguito, da Saba a Fulvio Tomizza, al Claudio Magris di Danubio e al Cergoly de Il complesso dell’Imperatore, tutta una schiera di occasioni è passata, continua a passare anche grazie all’indimenticabile amico Stelio Mattioni che si lasciò dietro la fama di propiziare la pioggia in tutte le occasioni della sua presenza ufficiale. Si potrebbe persino puntare a convocare la Trieste delle “Operette” e anche questa volta per ricordare il corridoio della Piccola Europa che passava per Vienna. Tutte romanticherie da balocchi e profumi in tempi di furti di petrolio libico e truffe a opera di Banche in altre torbide periferie senza corridoi del Bel Paese di mafia, camorra,ndrangheta, sacra corona, stidda e altre conserve con aggiunta di salicilati in scatolette fornite di apriscatole.
3. Il tramonto e l’Aurora purtroppo sono due momenti separati anche a volerli osservare recandoci nei Paesi del “Sole di mezzanotte”. Allora tanto vale starsene dove il buio viene classificato eleggendo l’ora che ha per succedanee quelle piccole quando spiega che “il punto massimo del buio è a mezzanotte”. Metafora concorrente a quella di Nicolò Tommaseo che ha lasciato scritto: “Il punto più basso della ruota l’abbiam varcato, ora si comincia a risalire…”.

4. Domenica 22 ottobre nelle regioni italiane più a Nord della Penisola (Lombardia, Veneto) si voterà per l’indipendenza. Un “evento” democratico esemplare, ossimoro rispetto al recente dramma in progress che agita i giorni della Catalogna e lo spirito della costituzione spagnola; né l’Italia dei nostri giorni ha da temere ombre di marescialli austriaci, la stessa immarcescibile memoria di Radetzky oggi come oggi può capitare di scambiarla per il titolo di una famosa marcia musicale. La velocità della vita, la globalizzazione, le ansie esistenziali a misura della dipendenza da cellulari e da schemi domestici non rilasciano tregue nemmeno per l’informazione tuttavia taroccata dalle persuasione occulte  che decidono sull’alimentazione, sul vestiario, sui deodoranti, le letture, le vacanze, il tipo di carta igienica, etc. Il resto dell’appiattimento rispetto alla tendenza dei gusti a oscillare lo sigillano gli anonimi casermoni dei dormitori, quelli ancor più stranianti degli uffici irrorati da neon e funestati da fiori di plastica. Resta per la parte riservata all’aspetto umano, l’esercizio dei canoni della civiltà, di cui un referendum, come quello di domenica per i cittadini elettori della Lombardia e del Veneto potrebbe rappresentare occasione parodica di incontri all’aria aperta. Ma la convenienza del voto elettronico per l’ambito in cui questo privilegio è disponibile, sottrae alla parte della vita di relazione residua ossigeno e altra alimentazione. Il robot tecnologico e il caprimulgo della condizione umana che col suo volo maschera e inganna la realtà della pregressa sentenza “indietro non si torna”. L’umanità in volo di caprimulgo perpetua l’estinzione del capriccioso succiacapre della civiltà sprofondata nella tomba della storia. Le cinque giornate di Milano o quelli raddoppiate di Brescia di quella volta hanno i rispettivi monumenti. Mancheranno i novelli Lurchi che “fanno pasqua a lor case e poi scendon a valle” mancheranno . Il Piave non potrà più mormorare intasato com’è da plastiche e inquinato dagli scarichi della civiltà delle moderne “cossère”.




Per la carta del Caprimulgo
© 
Wizards of the Coast 1995 
Douglas Shuler
5.

Dunque il 22 ottobre si vota per l’indipendenza delle due regioni del Nord più a Nord dell’Italia. Nulla di scandaloso o di non di già visto. Prova ne danno le autonomie che dalla Sicilia alla Val d’Aosta, al Friuli Venezia Giulia, non sono certo realtà esecrate o esecrabili. Anzi sono modelli e non pretesti. Uno dei più celebrati registi dell’Italia del pecoreccio, l’ex premier Berlusconi, ex cavaliere, ex evasore fiscale, ma non ancora ex nelle sue aspirazioni alla poltrona del Colle, intervenendo l’altro ieri da uno dei suoi soliti pulpiti televisivi si è presentato aruspice delle indipendenze di tutto il resto delle regioni d’Italia. Un augurio che potrebbe essere un segnale di raggiunta maturità per tutto il popolo italiano, una volta per tutte ricattato dalle presenze ingombranti e incombenti nella memoria dei più anziani, come quelle dei Bossi e di altre figure da proporre al maschile plurale della stessa voce, e che, come da legge di natura hanno generato eredi peggiori e più pericolosi, come è per il caso di un Matteo Salvini.
Per fortuna l’Italia geografica è una realtà peninsulare monolitica quanto disorganica è la sua realtà umana e quindi politica e civile. Ma come mi confidava Andrea Zanzotto nel 1974 in un momento di suo ottimismo e di ironia salvifica, che la vera missione dei veri poeti è quella di prevedere con almeno venti anni di anticipo cosa accadrà nel mondo. Diego Valeri che era presente al momento della confidenza che l’Autore di Pasque, Galateo in bosco e di altre eccelse opere di poesia, e che di Zanzotto era stato docente di letteratura francese nell’Ateneo padovano, s’intromise con una battuta: “Se così fosse, caro Andrea, sui poeti graverebbe l’ingiuria di profeti di sventure”. Avevo appena compiuto 40 anni, e l’occasione di trovarmi tra due Maestri di due pregresse e diverse generazioni mi rendeva più timido che riflessivo. Adesso che altri e tanti anni sono passati da quella serata all’Ateneo Veneto, mi sovviene di quelle valutazioni dei due grandi poeti e maestri. Ma non posso che dare ragione a entrambi, evidentemente senza pretesa di potere qualificarmi poeta, nella mia breve statura di letterato etneo che ha avuto dalla sorte e dall’epoca in cui è stato tra adolescenza e gioventù il privilegio oggi sicuramente tale di osservare, in diverse occasioni, il volo del caprimulgo. Il resto potrebbe essere tutt’altro che un rimpianto, infatti e solo una occasione per ripristinare a carico dell’uomo la sua immortalità, per questa destinazione a ripetersi nelle virtù, nei difetti, nelle istanze morali, civili, politiche. E tutto in omaggio ai corsi e ai ricorsi del Vico che non risulta abbia lasciato suoi versi. Bisognerà assegnargli il titolo di Poeta ad honorem et memoriam, anche in omaggio a questo mio impertinente ma caro ricordo dei due Maestri citati prima e del loro definire profeti i poeti.
mariograsso 
–  Agnone di Siracusa, 19 – X – 2017.
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