VOLI DI
CAPRIMULGO
“Il
popolo è mostro senza testa, il primo che passa gliela presta”. Sarà
proprio così o è una battuta con la rima del genere banalgrande? Da quando in
Italia tra Democrazia e Repubblica tutto è all’insegna del Popolo il
detto del mostro senza testa non sembra degno di essere preso sul serio. Anche
se non sono stati in pochi nel passato prossimo e nel Lombardo-Veneto a correre
dietro alle teorie della buon’anima di Miglio e alle divagazioni
populiste del Bossi, novello sacerdote delle acque del Po. Poi, siccome tutto
scorre e tutto corre anche se non più alla velocità dei tempi di “Panta rei” ma
da protagonisti come siamo oggi tra turismi, jet-set e distrazioni
internet, immersi nell'onnipotenza magica delle tecnologie, uno qualche
pensiero mirante a scaricarsi di pensiero è indotto a concepirlo. O attuarlo.
I più mentalmente evoluti mugugneranno che non si tratta altro che di spontaneo
ricorso vichiano. I più lo hanno sentito dire e lo ripetono a pappagallo magari
scambiando, i nuovi maestri, il Vico per un abbreviativo poetico di vicolo. Ma
si tratta di minimalismi rispetto al sovrastare della straordinaria memoria che
il popolo esibisce a fronte dei premi che continua a elargire a senso unico sul
modello antico Cristo/Barabba. E se questa è la realtà non resta che prenderne
atto da parte di quella altrettanto eterna rappresentanza minoritaria
fatalmente succuba e in sospetto di subliminali componenti maso. Infatti sono
rare le vere rivoluzioni rispetto alla frequenze di mini-repliche di Notte
di San Bartolomeo.
2.
Il capitolo delle pallosità in materia – per esempio – di Italia unita/Italia
divisa, si potrebbe far cominciare dai tempi in cui ci viene ricordato che una
volta l’Italia stessa era divisa in tanti piccoli Stati. Palloso perché non
siamo i soli a sapere che “Indietro non si torna”. Meno palloso se traducendo
dal triestino all’italiano i versi di una canzonetta popolare in voga in altre
stagioni si medita sulla sorgente e sulla scaturigine dei versi di quel remoto
motivetto che ammette un momento visionario dell’aquila bicipite degli Asburgo
con sventolio di alabarda “sovra i monti di Trieste”. Un momento tra sogno e
veglia abbastanza spontaneo, giustificabile in una città che continua a esibire
con il castello di Miramare una testimonianza abbastanza significativa, anche
se rivoltata a evocare, turisticamente, quanto Giosuè Carducci fa devolvere “alla
grand’alma di Guatimozino imperante nel padiglion del sole”. E
torniamo alla canzonetta i cui versi che maldestramente dall’impeccabile
figuralità del dialetto triestino, versiamo nella lingua di comunicazione
nazionale. “Ho visto svolazzare la gallina con due teste sopra i monti di
Trieste e sventolare l’alabarda, qui si beve, qui si mangia qui si vive tra
l’abbondanza, qui le belle ragazze non mancano, evviva evviva!”- Certo,
Trieste è Trieste direbbero gli elogiatori di La Palisse, infatti con meno
enfasi lapalissiana noi saremo i primi a sciorinare un elenco di ragioni vere a
favore di quel corridoio “Piccola Europa” che fa capo al mare del Nord per
sboccare nel golfo della Trieste di Svevo e Joyce, dopo che, quella ormai
remota volta, passava per Vienna sostando per qualche momento per una visita di
omaggio a un certo signor Sigmund Freud nel di lui studio. Altri tempi, ma tali
da aver segnato l’angolo di residenza di una civiltà cui in seguito, da Saba a
Fulvio Tomizza, al Claudio Magris di Danubio e al Cergoly de Il complesso dell’Imperatore, tutta una
schiera di occasioni è passata, continua a passare anche grazie
all’indimenticabile amico Stelio Mattioni che si lasciò dietro la fama di
propiziare la pioggia in tutte le occasioni della sua presenza ufficiale. Si
potrebbe persino puntare a convocare la Trieste delle “Operette” e anche questa
volta per ricordare il corridoio della Piccola Europa che passava per Vienna.
Tutte romanticherie da balocchi e profumi in tempi di furti di petrolio libico
e truffe a opera di Banche in altre torbide periferie senza corridoi del Bel
Paese di mafia, camorra,ndrangheta, sacra corona, stidda e altre conserve con
aggiunta di salicilati in scatolette fornite di apriscatole.
3.
Il tramonto e l’Aurora purtroppo sono due momenti separati anche a volerli
osservare recandoci nei Paesi del “Sole
di mezzanotte”. Allora tanto vale starsene dove il buio viene classificato
eleggendo l’ora che ha per succedanee quelle piccole quando spiega che “il
punto massimo del buio è a mezzanotte”. Metafora concorrente a quella di Nicolò
Tommaseo che ha lasciato scritto: “Il punto più basso della ruota l’abbiam
varcato, ora si comincia a risalire…”.
4. Domenica 22 ottobre nelle
regioni italiane più a Nord della Penisola (Lombardia, Veneto) si voterà per
l’indipendenza. Un “evento” democratico esemplare, ossimoro rispetto al recente
dramma in progress che agita i giorni della Catalogna e lo
spirito della costituzione spagnola; né l’Italia dei nostri giorni ha da temere
ombre di marescialli austriaci, la stessa immarcescibile memoria di Radetzky
oggi come oggi può capitare di scambiarla per il titolo di una famosa marcia
musicale. La velocità della vita, la globalizzazione, le ansie esistenziali a
misura della dipendenza da cellulari e da schemi domestici non rilasciano
tregue nemmeno per l’informazione tuttavia taroccata dalle persuasione
occulte che decidono sull’alimentazione, sul vestiario, sui deodoranti,
le letture, le vacanze, il tipo di carta igienica, etc. Il resto
dell’appiattimento rispetto alla tendenza dei gusti a oscillare lo sigillano
gli anonimi casermoni dei dormitori, quelli ancor più stranianti degli uffici
irrorati da neon e funestati da fiori di plastica. Resta per la parte riservata
all’aspetto umano, l’esercizio dei canoni della civiltà, di cui un referendum,
come quello di domenica per i cittadini elettori della Lombardia e del Veneto
potrebbe rappresentare occasione parodica di incontri all’aria aperta. Ma la
convenienza del voto elettronico per l’ambito in cui questo privilegio è
disponibile, sottrae alla parte della vita di relazione residua ossigeno e
altra alimentazione. Il robot tecnologico e il caprimulgo della condizione
umana che col suo volo maschera e inganna la realtà della pregressa sentenza
“indietro non si torna”. L’umanità in volo di caprimulgo perpetua l’estinzione
del capriccioso succiacapre della civiltà sprofondata nella tomba della storia.
Le cinque giornate di Milano o quelli raddoppiate di Brescia di quella volta
hanno i rispettivi monumenti. Mancheranno i novelli Lurchi che “fanno pasqua a
lor case e poi scendon a valle” mancheranno . Il Piave non potrà più mormorare
intasato com’è da plastiche e inquinato dagli scarichi della civiltà delle
moderne “cossère”.
Per la carta del Caprimulgo © Wizards of the Coast 1995 │Douglas Shuler |
Dunque il 22 ottobre si vota per l’indipendenza delle due regioni del Nord più a Nord dell’Italia. Nulla di scandaloso o di non di già visto. Prova ne danno le autonomie che dalla Sicilia alla Val d’Aosta, al Friuli Venezia Giulia, non sono certo realtà esecrate o esecrabili. Anzi sono modelli e non pretesti. Uno dei più celebrati registi dell’Italia del pecoreccio, l’ex premier Berlusconi, ex cavaliere, ex evasore fiscale, ma non ancora ex nelle sue aspirazioni alla poltrona del Colle, intervenendo l’altro ieri da uno dei suoi soliti pulpiti televisivi si è presentato aruspice delle indipendenze di tutto il resto delle regioni d’Italia. Un augurio che potrebbe essere un segnale di raggiunta maturità per tutto il popolo italiano, una volta per tutte ricattato dalle presenze ingombranti e incombenti nella memoria dei più anziani, come quelle dei Bossi e di altre figure da proporre al maschile plurale della stessa voce, e che, come da legge di natura hanno generato eredi peggiori e più pericolosi, come è per il caso di un Matteo Salvini.
Per
fortuna l’Italia geografica è una realtà peninsulare monolitica quanto
disorganica è la sua realtà umana e quindi politica e civile. Ma come mi
confidava Andrea Zanzotto nel 1974 in un momento di suo ottimismo e di ironia
salvifica, che la vera missione dei veri poeti è quella di prevedere con almeno
venti anni di anticipo cosa accadrà nel mondo. Diego Valeri che era presente al
momento della confidenza che l’Autore di Pasque,
Galateo in bosco e di altre eccelse
opere di poesia, e che di Zanzotto era stato docente di letteratura francese
nell’Ateneo padovano, s’intromise con una battuta: “Se così fosse, caro Andrea,
sui poeti graverebbe l’ingiuria di profeti di sventure”. Avevo appena compiuto
40 anni, e l’occasione di trovarmi tra due Maestri di due pregresse e diverse
generazioni mi rendeva più timido che riflessivo. Adesso che altri e tanti anni
sono passati da quella serata all’Ateneo Veneto, mi sovviene di quelle
valutazioni dei due grandi poeti e maestri. Ma non posso che dare ragione a
entrambi, evidentemente senza pretesa di potere qualificarmi poeta, nella mia
breve statura di letterato etneo che ha avuto dalla sorte e dall’epoca in cui è
stato tra adolescenza e gioventù il privilegio oggi sicuramente tale di
osservare, in diverse occasioni, il volo del caprimulgo. Il resto potrebbe
essere tutt’altro che un rimpianto, infatti e solo una occasione per
ripristinare a carico dell’uomo la sua immortalità, per questa destinazione a
ripetersi nelle virtù, nei difetti, nelle istanze morali, civili, politiche. E
tutto in omaggio ai corsi e ai ricorsi del Vico che non risulta abbia lasciato
suoi versi. Bisognerà assegnargli il titolo di Poeta ad honorem et memoriam,
anche in omaggio a questo mio impertinente ma caro ricordo dei due Maestri
citati prima e del loro definire profeti i poeti.
mariograsso
– Agnone di Siracusa, 19 – X – 2017.
©│ ebdomadario prova d’autore