Santi e Scalzacani│ Il Maestro
dello Spirito che vola nella Controra
Lebenswelt di V.S.Gaudio
con Dino Buzzati, I Santi[i]
Gli Scalzacani
hanno ciascuno una casetta lungo la riva del Mar Ionio con un balcone che
guarda il mare, e quel mare è Dio, e, quando non c’è, è la Madonna del Càfaro[ii].
D’estate, quando
fa caldo, e ci sono i lidi aperti, e quei lidi sono Dio, o la Madonna del
Càfaro. Gli Scalzacani, per refrigerio, si tuffano nelle fresche acque, e
quelle acque sono Dio, però appartengono agli Ombroni.
Alla notizia che
sta per arrivare uno scalzacane nuovo, subito viene intrapresa dal Comune “Tutto in Comune, niente a Gaudio” la
costruzione di una casetta di fianco alle altre. Esse formano così una
lunghissima fila lungo la riva del mare , sotto, e lungo il lungomare, sopra,
sotto la ferrovia. Lo spazio non manca di sicuro.
Anche il Maestro dello Spirito che vola nella
Controra, come giunse sul posto dopo la nomina , trovò la sua casetta
pronta uguale alle altre, con mobili, biancheria, stoviglie, persino un paio di
scarpe. C’era anche, appeso al muro, un grazioso scacciamosche perché nella
zona vivevano abbastanza mosche, però non fastidiose, ancorché ci fosse, come
narrò il poeta, la cosiddetta mosca
fenocopica di Barthes[iii].
Il Maestro dello Spirito che vola nella Controra
non era uno scalzacane, e nemmeno un santo, clamoroso; aveva vissuto umilmente
facendo il calzolaio e solo dopo la sua morte, qualcuno, pensandoci su, si era
reso conto della grazia che riempiva quell’uomo, irraggiando intorno per almeno
tre quattro metri con il fumo dei suoi toscanelli, prima, e della pipa, dopo.
Tanto che il famoso leader dei Radicali, aveva fatto i primi passi per il processo di fumigazione,
fumando egli stesso i toscanelli.
Ma nel profondo
grembo della Chiesa, passettino passettino, senza fretta, il processo era
andato avanti. Vescovi e Papi morivano,
anche quello di Napoli, uno dopo l’altro e se ne facevano di nuovi, anche per
la Diocesi di Cassano allo Ionio, altri, che erano venuti da Cerignola, dove,
si narra, fosse nato lo Zingarelli del Vocabolario della Lingua Italiana della
Zanichelli di Bologna, furono chiamati alla Cei, pertanto l’incartamento del Maestro dello Spirito che vola(va) nella Controra,
certe volte anche nel Crepuscolo nautico(roba
di 18° sotto l’orizzonte), quasi da solo passava da un ufficio all’altro,
sempre più su, anche nei Distretti Militari non si riusciva a rinvenire il suo
Foglio Matricolare, per cui l’Inps non poteva accreditargli quelle famose
30.000 lire la cui erogazione era mirabilmente spiegata nella rubrica allestita
all’uopo da “l’Unità”, il famoso quotidiano del partito comunista, quindi di
Togliatti, che aveva fatto l’amnistia per il Principe Nero di Cerchiara della
Calabria e della Madonna dell’Armi. Un soffio di grazia era rimasto attaccato misteriosamente
a quelle scartoffie scolorite, anche senza Foglio Matricolare, come comunicava
il colonnello Modesto Porco[iv],
che anzi arrivò a scrivere che lo stesso interessato potesse “aggiornare” il
foglio specificando dove, durante la Seconda Guerra Mondiale, aveva prestato
servizio, se aveva preso una medaglia o un nastrino e che grado nella gerarchia
militare avesse avuto nell’artiglieria contraerea, che, forse, ancora usava il
famoso Parrott, il cannone con le ruote
impiegato nella guerra civile americana; e non c’era prelato che, maneggiando
queste scartoffie, non si accorgesse della sua grazia, finché un mattino l’immagine
del Maestro Calzolaio con una cornice di raggi d’oro fu issata in San Pietro,
chiamandosi egli stesso Saverio e Pietro, ombrone per via della dottrina dei gesuiti
e ancor più ombrone e nell’ordine della durezza dell’ordito mentale per via del secondo nome e del cognome materno che
i suoi compari italo albanesi avevano
amabilmente traslato in Gurgur[v]:
il Santo Padre personalmente, o forse era la Madonna del Càfaro se non quella
dell’Armi, intonò quel mattino il salmo di gloria, elevando il Maestro dello Spirito che vola(va) nella
Controra alla maestà degli altarini.
Al suo paese si
fecero grandi feste e lo studioso della storia locale credette di identificare
la casa dove il Maestro era nato, vissuto e morto, casa che fu trasformata, dal
solerte sindaco degli Scalzacani, in una specie di rustico museo. Ma siccome
nessuno si ricordava più di lui e tutti i parenti, anche la mitica sorella Maestra della Tazzina lavata con quattro
gocce d’acqua, erano scomparsi, la popolarità del nuovo santo scalzacane
durò ben pochi giorni. Da immemorabile tempo in quel paese era venerato come
patrono un altro santo, Leonardo, per baciare la cui statua, in fama
taumaturgica, anche per le terre occupate nell’agro contiguo, venivano
pellegrini anche da lontane contrade, tra Francavilla Marittima, Plataci,
Canna, Oriolo, Roseto Capo Spulico, Rocca Imperiale, Sant’Arcangelo, Noepoli e
la Nocara e Castroregio. Proprio accanto alla sontuosa cappella di quel santo
scalzacane [ancorché cantiniere in una stanza ad angolo nel caseggiato dello
scalzacane italoamericano Dominick Aino che nulla lasciò a quella nipote che
sarebbe diventata la moglie del poeta V.S. Gaudio], brulicante di ex voto e di
lumini, fu costruito il nuovo altarino del figlio della Gurgur. Ma chi gli badava? Chi si inginocchiava a pregare? Era una
figura così sbiadita, dopo che era passato il secolo ventesimo. Non aveva
niente che colpisse l’immaginazione, né ci fu un poeta a dargli quattro versi, ma
non scrisse lo stesso figlio putativo: “Da
poeta ti dovevo almeno un verso, ma non ho mai scritto versi”[vi]?
Comunque, il
Maestro, che mai si sarebbe immaginato tanto onore, poteva stare nella sua
casetta dopo che il sindaco degli Ombroni e degli Scalzacani gliel’aveva abbattuta e
prima ancora gli ci aveva fatto costruire a fianco e sopra il suo assistente
che aveva lo stesso cognome della moglie del suo figlio putativo e poeta, che
non aveva mai scritto versi e, da parte di madre, aveva lo stesso cognome della
famosa zia del poeta che non aveva mai scritto versi , quella denominata “’Ndenna ‘i jurë”[vii],
per quel gran podice che i compari italo albanesi del Maestro Santo Scalzacane
avevano affettuosamente e gergalmente denominato “Ulémmulém”[viii],
e lo stesso cognome della madre di un suo cugino che aveva fatto studiare il
padre del Santo Scalzacane e che dal Maestro stesso era chiamata
affettuosamente “Razz ‘i zinkëri”:
seduto fuori sul marciapiede del Corso Vittorio Emanuele III fumava toscanelli
e contemplava il passaggio dei treni che andavano a Torino e i treni merci con
le cosiddette “Cicogne” che trasportavano le auto provenienti da Torino e,
oltre i binari e il passaggio a livello e la casetta in riva al mare dove abitò
un certo Sansone e poi la cosiddetta Pisciavacca,
con beatitudine se non gaudio il mare che respirava placido e possente,
nonostante la presenza e l’occupazione degli Ombroni.
Senonché il
mattino dopo, alzatosi di buon’ora, vide un postino in divisa, arrivato in bicicletta,
entrare nella casetta vicina portando un grosso pacco; e poi passare alla
casetta accanto, che nel frattempo si era innalzata al piano superiore, per
lasciarvi un altro pacco; e così a tutte quante le casette, che avevano
innalzato altri piani superiori o si erano estese orizzontalmente, dal Corso
lungo le vie adiacenti, verso la Fornace, da una parte, e verso la stazione ferroviaria,
dall’altra; ma a lui, niente. Il fatto essendosi ripetuto anche nei giorni
successivi, il Maestro, incuriosito, fece cenno al postino, che, quando non
consegnava quei pacchi, suonava la tromba nella banda comunale, e gli domandò: “Scusa,
che cosa porti ogni mattino a tutti i miei compari, ma a me non porti mai?”
“Maestro Santo,
è la posta”, rispose il postino togliendosi rispettosamente il berretto “ e io
sono il postino.”
“Che posta? Chi
la manda?”
Al che il
postino sorrise e fece un gesto come per indicare quelli dell’altra parte, quelli
di là, la gente laggiù del vecchio mondo, roba di Torino, e di Roma, “Maestro,
non lo sapete? Le bollette della luce e del telefono e del gas e dell’acqua e
dei rifiuti urbani e suburbani le stampa tutte lui. Quello che stampa anche gli
elenchi telefonici!”
“Bollette? E
niente petizioni?” fece incredulo San Saverio Pietro Gurgùr, che cominciava a
capire.
“Maestro, Santo
Mastro, le petizioni arriveranno dopo, con Internet, preghiere, richieste di
ogni genere” disse il postino in tono indifferente, come se fossero inezie, per
non mortificare il Santo Mastro Saverio.
“E ogni giorno
ne arrivano tante? E chi le paga?”
Il postino
avrebbe voluto dire che quella era anzi una stagione morta e che nei giorni di
punta e negli anni che verranno si arriva a dieci, venti volte tanto. Ma,
pensando che Mastro Saverio sarebbe rimasto male se la cavò con un:”Be’,
secondo, dipende”. E, poi, trovò un pretesto per squagliarsela.
Il fatto è che a
San Pietro Gurgùr nessuno si rivolgeva mai. Come neanche esistesse. Né una
lettera, né un biglietto, neppure una cartolina postale, nemmeno l’abbonamento Urar alla Tv di Stato, addirittura la
moglie, quella pia donna di Sant’Arcangelo, il paese delle fornacette e del
vescovo di Napoli che era stato perquisito da un finanziere che abitava nel
paese degli Scalzacani, aveva ricevuto l’abbonamento Urar alla Tv di Stato da
Torino al paese degli Scalzacani, in corso Vittorio Emanuele IV[ix].
Questo cruccio
lo portò a curiosare un giorno nei pressi di una delle casette più vicine, dove
aveva abitato il Santo Scalzacane di Sannicandro che andava a prendere le cozze
a Taranto e le faceva vendere sopra un carrettino al figliastro, sotto la
finestra del poeta che non aveva mai scritto versi, donde veniva un curioso ticchettio,
manco se l’affiliato negozio della Olivetti si fosse trasferito lì.
“Ma prego, caro,
entra, quella poltrona è abbastanza comoda. Scusa se finisco di sistemare un
lavoretto, poi sono subito da te” gli disse il compare cordialmente. Passò
quindi alla stanza accanto dove con velocità stupefacente dettò a una
dattilografa una dozzina di lettere e vari ordine di servizio, e reclami sulle
bollette stampate in quel di Torino da quello della P2, P3 e P4. Dopodiché
torno da Mastro Saverio: “Màst-Savè,
senza un minimo di organizzazione sarebbe un affare serio, con tutta ‘sta cazz’i
postë che arriva. Se
adesso vieni di là, ti faccio vedere la mia nuova stampante, è laser, Màst-Savè!”
Di stampanti non
aveva certo bisogno Gurgùr che se ne tornò nella sua casetta piuttosto mogio
col suo toscanello. E pensava: “Possibile che nessuno abbia bisogno di me? E sì
che sono anche il padre putativo di un poeta che non ha mai scritto versi. Però
fece fare un salto di qualità al Playboy
edito da Rizzoli! Se per esempio facessi un piccolo miracolo per attirare l’attenzione?”
Detto fatto, gli
venne in mente di far incazzare ancora una volta la Madonna del Càfaro, così
mette sottosopra le terre degli Ombroni e questi fanno il miracolo, pure in
riva al mare vengono a farsi costruire la casetta, tanto dal primo ponte fino
al ponte di Albidona c’è tutta ‘sta cazz’i spiaggia che o ci fanno i lidi e le
pizzerie, con le finestre proprio sul mare e il terrazzo cementificato sulla
spiaggia, e l’aria condizionata, o ci fanno la casetta ‘sti poveri ‘mbroni che
la Madonna gli ha messo tutto sopra e allora che c’è di male, ognuno può dire: “Sancazzàta
‘a Madònna e m’a spustat’a casa ammàrë!”[x]
Al mare non c’era
mai nessuno, specie quando edificano, i Carabinieri devono badare agli
esplosivi della nuova ‘ndrangheta che, nel frattempo, fanno commercio
stanziale, i finanzieri devono dire ogni giorno quanti falsi braccianti hanno
snidato, 300, 700, 1800, e giustamente devono fiscalizzare la conta, i vigili
urbani che cazzo ci vanno a fare a mare che è del demanio? I forestali, anche
quando gli zingari annientano tutto l’aranceto della madre di San Gurgùr per
tenerci ciucci e cavalli, non vedono niente perché, giustamente, l’aranceto non
è nemmeno un bosco, vuoi mettere se fosse stato il bosco del Torinese nel
Pantano di Villapiana?, devono badare al Parco del Pollino, altrimenti quelli
pagano lo spot a quel famoso calciatore [del paese di quel famoso clan che ha
lo stesso cognome di un collega di Mastro Saverio che, però, era più santo
perché poi s’era messo a venderle le
scarpe] che, questo sì che è un miracolo, gli avevano addirittura fatto fare un
altro spot per un’enciclopedia Mondadori, e bastava sentirlo parlare per ottenere
un boom nell’acquisizione del prodotto; insomma, al mare non c’era nessuno, ma
per caso si trovò a passare uno dei cinquecento scemi del paese, tenete
presente che per fare uno scemo del paese ci volevano, nel secolo scorso, almeno cento ombroni, il quale vide quanto la
Madonna s’era incazzata e si mise a gridare al miracolo, quando il poeta che
non aveva mai scritto versi lo tenevano a disposizione di tortura del capo
degli Ombroni andava, a mezzogiorno, sotto la finestra della cucina e
cominciava a dire: “Di chi sono tutte queste case alla Marina? Del Maresciallo
dei carabinieri? Marascia’ io l’ho visto il miracolo, la Madonna non scherza,
Marascià!” E lo ripeteva all’infinito fin quando durava il pranzo della
famiglia del poeta che non aveva mai scritto versi.
Dopo un po’ di
tempo, si presentarono dal santo Maestro due o tre compari di santificazione e
con molta bonarietà gli fecero intendere ch’era meglio che lui la smettesse:
non che ci fosse niente di male, ma quei tipi di miracolo, per una certa loro
frivolezza, non erano molto graditi in alto loco, né al sindaco degli Scalzacani
e degli Ombroni né al pretore distaccato e nemmeno al giudice di pace che
vendeva granone per le galline del pollaio della suocera del poeta che non
aveva mai scritto versi e che lui stesso molestava nell’appartamento sotto di
lui facendogli sgorgare nel lavandino della cucina immondi rigurgiti quando
mangiava e quando quello scemo del paese andava riferendo di quel miracolo. Lo
dicevano senza ombra di malizia, ma è possibile che gli facesse specie quell’ultimo
venuto il quale eseguiva lì per lì, con somma disinvoltura, miracoli che a loro
invece costavano una fatica maledetta. San Maestro Saverio Gurgùr naturalmente
smise e giù al paese la gente accorsa alle grida dello scemo sotto l’abitazione
del poeta finì col prendere a legnate quel povero scemo, anzi arrivò lo stesso marascià, da lui evocato, con l’atto di
proprietà delle casette che gli avevano fabbricato al mare e, forse, anche all’Albidona
o all’Alessandria del Carretto, se non a Villapiana Lido o a Roseto Capo
Spulico.
"Maestro Saverio se ne tornò a contemplare la ferrovia": così come appare nel Foglio della Carta d'Italia n.222 IV S.O. Istituto Geografico Militare │Rilievo 1949 |
“Ma ti pare?”
fece il Santo Maestro, molto consolato da quella visita, ridendo anche lui.
“Vedi” disse
Sant’Antonio. “Io sono un tipaccio, eppure mi assediano dalla mattina alla
sera. Specialmente quando facciamo fare bollette dell’acqua centuplicate. Tu
sei molto più santo di me, eppure tutti ti trascurano. Bisogna aver pazienza, cumpà-Savé, con questo mundaccio cane
che ci possono fare gli scalzacani?” e dava a Santo Gurgùr delle affettuose
manate sulla schiena.
“Ma perché non
entri? Fra poco è buio e comincia rinfrescare, è inutile che torni all’Albidona
col ciuccio, accendiamo il fuoco, ceniamo e stiamo al fuoco con un bel
bicchiere di vino d’Alisandra.”
“Con piacere,
proprio col massimo piacere” rispose il Sindaco degli Scalzacani.
Entrarono,
tagliarono un po’ di legna e accesero il fuoco, con una certa fatica veramente,
per via del fatto che la legna era ancora umida. Infine, San Saverio mise una
pentola piena d’acqua per la zuppa e, in attesa che bollisse, entrambi sedettero
sulla panca scaldandosi le ginocchia e chiacchierando amabilmente. Dal camino
cominciò a uscire una sottile colonna di fumo, e anche quel fumo era Dio, la
Madonna del Càfaro, la Madonna dell’Armi, la Santa Ammašcatura della Quadàra.
[i] Dino Buzzati, I Santi, in: Idem, Sessanta
racconti, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1958.
Seni.
Guida alla Calabria magica e leggendaria,
Rubbettino, Soveria Mannelli(Cz), 1994.
[iii] Cfr. la prima parte di Sindromi Stilistiche: La mosca fenocopica di Barthes:
V.S.Gaudio, Sindromi Stilistiche,
Forum/Quinta Generazione, Forlì 1978: pagg.7-24.
[iv] E Porco fu anche il
cognome del funzionario della Prefettura che inoltrò al poeta che mai aveva
scritto versi il decreto del cambiamento di cognome firmato dal viceprefetto
responsabile dell’Area suffragante solo col nome, anziché col cognome, di
evidente origine spagnola, tanto che il poeta stesso ne ebbe gratificazione per
questo segno di materna amicizia per via del fatto che il cognome omesso
rinviasse allo spagnolo “Pezón”(=”capezzolo”)
della sua balia.
[v] Letterale: “pietra”+ “pietra”: superlativo: “petrone”.
Cfr. il superlativo se fosse stata, la radice del cognome materno, anziché un
sostantivo, un aggettivo: Shumëgur.
[vi] Cfr. il manifesto di commemorazione funebre, fatto affiggere dal poeta V.S.Gaudio, per la scomparsa del padre
putativo: “Da poeta ti dovevo almeno un verso, ma non ho scritto mai versi”,
Comune di Trebisacce, affissione 22 ottobre 1990.
[vii] Sedere, in quanto fondoschiena,
in shqip, farebbe: ndènjura; ndènjur
equivale a : “fermo”, “immobile”, anche “stantio”.
[viii] Ulem, sarebbe verbo riflessivo: “sedere”,”sedersi”, “mettersi a
sedere”, ma anche “inchinarsi”,”abbassarsi”. Raddoppiato, viene reso come superlativo,
ossia il culone del mettersi a sedere o dell’abbassarsi. Facendo “Ulèm(m)ulèm” è come se fosse non più sostantivo-archetipo ma schema verbale; addirittura, si ebbe
anche la pronuncia come “Ulèmmulènn”,
in cui la “m” è commutata in “n” raddoppiata e sospesa come se fosse la terza
persona plurale di un deittico indicativo proairetico, in movimento.
[ix] Sic: proprio così: l’indirizzo:
Corso Vittorio Emanuele IV, 87075
Trebisacce(Cs).
[x] “Si è adirata la Madonna e
mi ha spostato la casa al mare!”.