Foglio 221 della Carta d’Italia│Cerchiara
di Calabria I S.E.- IGM 1954-1958 :
tra 6/20 e 44/11 lungo la statale dell’Appenino Meridionale 92, si sta salendo verso Cerchiara di Calabria |
Le mura di Sant’Arcangelo¾
Labenswelt
di V.S. Gaudio con Dino Buzzati
│Le
mura di Anagoor
Nell’interno
della Culabria una guida indigena, originario forse di Lagonegro o di
Latronico, mi domandò se per caso volevo vedere le mura, le fornacette e gli
uliveti della città di Sant’Arcangelo, lui, che faceva anche da scuola guida,
mi avrebbe fatto la scuola guida fino a Sant’Arcangelo, passando per la Strada
Statale 92, avremmo così attraversato Cerchiara di Calabria, la mitologica
città che dette il titolo nobiliare al Principe Nero Cavaliere di San Giovanni
o di Gerusalemme e dell’Ordine di Malta, per tacere di Ghawdesh[i],
essendo impronunciabile il nome, e il cognome, “Gaudio”; S. Lorenzo Bellizzi, da cui venne il
progenitore delle gemelle delle Tre Bisacce; Noepoli, di cui tanto si disse per
via del fatto che fu il paese che dette i natali sia al medico psichiatra del
Professor Cutolo, mitologico condottiero della Nuova Camorra Organizzata; sia
al pescivendolo giornalista professionista per conto del foglio di un partito
ormai inesistente e che fu diretto da Mussolini, per cui anche il cognato di
Craxi poté essere nominato giornalista pubblicista e sindaco di Milano, per
tacere dei tanti versificatori socialisti urbani e suburbani; Senise, la città
dei peperoni; e, prima di approdare alle mura di Sant’Arcangelo, la mitica
città di Santo Brancato, edificata dopo aver abbattuto il latifondo infinito
del poeta al quale da qui fissarono l’Herkunft
materna fasulla per via della madre affidataria. Guardai la carta ma la città
di Sant’Arcangelo non c’era. Neppure sulle guide turistiche, che sono così
ricche di particolari, vi si faceva cenno. Io dissi: “Che città è questa che
sulle carte geografiche non è segnata?”. Egli rispose: “E’ una città grande,
ricchissima e potente, famosa per il Caciocavallo
Silano Dop e le sue grotte urbane, financo sotto la Chiesa della Piazzolla,
dove, è inequivocabile, anche il fratello del Vescovo di Napoli condusse una
Farmacia, che forse era proprio quella dove il farmacista truffò quella povera
donna di cui narra Carlo Levi in “Cristo
si è fermato a Eboli”; ma sulle carte geografiche non è segnata perché il
nostro Governo la ignora, o finge di ignorarla, come ignora la morte di Michele
Amorosi, incenerito in Germania nel XXI secolo, senza che ne avesse fatto
richiesta e sconosciuto all’ ufficio demografico della mitica città di Sant’Arcangelo,
per quanto lo stesso ufficio sia amministrato da chi reca lo stesso cognome
della nonna materna[ii]
del detto Michele Amorosi. Essa fa da sé e non obbedisce. Essa vive per conto
suo e neppure le dichiarazioni del reddito affluiscono al Centro Servizi di
Bari, per questo non possono entrarvi neppure i ministri della Repubblica, né
gli esattori di Equitalia. Essa non ha commercio alcuno con altri paesi, nemmeno
con Roccanova, che è vicino a San Brancato e alla località detta “Marrocco”, su cui si estendevano
infiniti i poderi della cosiddetta famiglia della madre affidataria del poeta
scalzacane. Essa è chiusa. Si narra che , nel secolo scorso, solo i messi
comunali delle Tre Bisacce potevano notificare le sue carte alla madre
affidataria del poeta scalzacane nel lontano paese degli Scalzacani e degli
Ombroni, che la Madonna del Càfaro aveva, infuriata, mandati al mare, nell’agro
del ridente comune amministrato secondo la Legge
del Niente a Gaudio(“Tutto in Comune,
niente a Gaudio”), per prenderne
possesso e farlo miracolosamente prosperare”.
“Le carte”
io insistetti “non registrano nessuna città di nome Sant’Arcangelo, ciò fa
supporre che sia una delle tante leggende di questo paese; tutto dipende
probabilmente dai miraggi e dai fumi delle fornacette che, a migliaia,
attorniano la città murata.”
“Ci conviene
partire due ore prima dell’alba se dobbiamo percorrere la strada statale dell’Appennino
meridionale” disse quello della scuola guida che proveniva da Latronico, che,
forse, si chiamava lui stesso Latronico o Manolio, se non Cavallo o Pisticci,
come se non avesse udito. “Con la macchina mia, signor poeta, arriveremo in
vista di Sant’Arcangelo verso mezzodì. Verrò a prenderti alle tre del mattino,
ci prendiamo un caffè, e via, a Torre Cerchiara andiamo a prendere la 92.”
“Una città
come quella che tu dici sarebbe registrata sulle carte con un doppio cerchio e
avrebbe il quadro nella Carta d’Italia dell’Istituto Geografico Militare.
Invece non trovo alcun riferimento a una città di nome Sant’Arcangelo, la quale
evidentemente non esiste. Alle tre sarò pronto, Manolio o Latronico se non
Pisticci.”
Coi fari
accesi alle tre del mattino si partì in direzione pressappoco sud sulle piste
della 92 e mentre fumavo una Gauloises dopo l’altra con la speranza di scaldarmi
vidi alla mia sinistra illuminarsi l’orizzonte e subito venne fuori il sole che
si mise a battere la SS│92 finché tutto fu caldo e
tremolante, ma la macchina con estrema buona volontà correva e alle 11.37 in
punto[iii],
non c’era l’ora legale, Manolio che mi sedeva al fianco disse: “Ecco, Enzù” e
infatti vidi le mura della città che si estendevano per chilometri e
chilometri, alte dai venti ai trenta metri, che nemmeno il bastione delle Tre
Bisacce Alte, ininterrotte, qua e là attorniate dalla mitiche fornacette.
Avvicinandomi, notai che in vari punti, proprio a ridosso delle mura, e delle
fornacette, c’erano degli accampamenti: tende miserabili, tende medie, tende da
ricchi signori, anche di quelli che con la Riforma Agraria s’erano intestati
tutta la "robba" non solo dell’agro di Sant’Arcangelo e delle Tre Bisacce, e di
Villapiana ch’era, a regno fatto, denominata Casalnuovo, e di là, per andare a
Sant’Arcangelo, c’era l’altro Casalnuovo Lucano, in modo che avveniva che se c’era
un nostro parente che a Villapiana si chiamava, per esempio, La Vitola, anche a
Casalnuovo Lucano e a Noepoli, se non a Senise, o a San Paolo Albanese, che era
Casalnuovo Lucano, non potevamo sbagliarci, pure a Cersosimo, c’era La Vitola,
con altre terre e proprietà. E a Gaudio niente.
“Chi sono?”
io chiesi. E Manolio:”Sono pellegrini e scalzacani che sperano d’entrare e
anche messi comunali che portano notizie dal padrone della Ruota e bivaccano
dinanzi alle porte, mangiano pipiruss’egòvë[iv]
e zazizza erràpë[v]
e se hanno finito il vino arriva quello di Roccanova”.
“E queste
porte, quando le aprono? E queste fornacette?”
“Le porte
non vengono aperte quasi mai. Però si dice che alcune si apriranno. Stasera, o
domani, o fra tre mesi, o fra cinquant’anni, non si sa, è appunto qui il grande
segreto della città di Sant’Arcangelo, dipende se devono mandare il messo in un
paese di qua in Lucania o di là in Calabria, e magari in Puglia e a Salerno,
senza dimenticare che se arriva quello delle Tre Bisacce, se lo sai, ti metti
dietro la sua ombra, e loro aprono la porta e, oplà, sei dentro!”
Eravamo
arrivati. Ci fermammo dinanzi a una porta e a una fornacetta che Manolio
riconobbe, era quella che usava lui, e si mise a piangere. Molta gente era là
in attesa. Beduini sparuti, mendicanti, scalzacani riulesi, rucchitani,
minnularesi, donne velate, monaci, francescani e gesuiti, guerrieri armai fino
ai denti, pretori distaccati, carabinieri appuntati e brigadieri, perfino un
principe con la sua piccola corte personale, agenti di Malta, gallesi
quadarari. Ogni tanto qualcuno con una mazza batteva sulla porta: “La volete
aprire, 'sta cazz’i portë?!” E la porta rintronava. “Battono” disse la guida
ancora con le lacrime agli occhi “affinché quelli di Sant’Arcangelo, udendo i
colpi, vengano ad aprire. E’ infatti generale persuasione che se non si bussa
nessuno mai aprirà.”
Mi venne un
dubbio:”Ma a parte il fatto che potrebbero mettere dei campanelli elettrici,
visto che l’Enel è a Potenza, si farebbe subito, ma, poi, è sicuro che di là
delle mura ci sia qualcuno? La città non potrebbe essere ormai estinta? E se
sono tutti nelle grotte a fare il Caciocavallo Silano Dop, è per questo che non
sentono bussare….”
Manolio
sorrise: “Tutti la prima volta che vengono qui hanno il medesimo pensiero. Io
stesso sospettavo, un tempo, che dentro le mura non vivesse più nessuno. Ma c’è
la prova del contrario. Certe sere, in condizioni favorevoli di luce, si
possono scorgere i fumi della città che salgono diritti al cielo, come tanti
incensieri. Segno che uomini vivono là dentro, e accendon fuochi, e fanno da
mangiare. E poi c’è un fatto anche più dimostrativo: tempo fa una delle porte è
stata aperta”.
“Per fare
entrare i pompieri?E quando?”
“La data,
per essere sinceri, è incerta. Alcuni dicono un mese, un mese e mezzo fa, altri
però ritengono il fatto molto più lontano, vecchio di due, tre, perfino quattro
anni, qualcuno addirittura lo attribuisce al tempo della Riforma Agraria e di
Scardaccione[vi].”
“Ma perché i
pompieri non vengono con i canadair?”
“Ma sei
matto, con quello che costano? E poi una volta un canadair caricò nel Mar Ionio
a Torre Cerchiara e poi a Francavilla sbagliò direzione e buttò l’acqua sulla
Silva e quelli si incazzarono di brutto che non vollero più sentir parlare di
Sant’Arcangelo, e nemmeno di Santo Brancato!”
Un’improvvisa
eccitazione, nonostante il caldo, si era propagata nell’eterogeneo
accampamento. Tutti erano usciti dalle tende ed additavano due tremule spire di
grigio fumo elevantisi nell’aria immota dei gas della Val d’Agri di là dal
ciglio delle mura. Non capivo una parola delle concitate voci che si
accavallavano, c’erano anche coriglianesi e cosentini, altri viandanti del
Tirreno calabro e quelli del Pollino, con tutta la schiera degli italo-albanesi,
che, per non averlo mai scritto il loro gergo, quando parlano mugugnano a deissi
e a schemi proairetici monosillabici. Però era evidente l’entusiasmo. Come se
quei due poveri fumi fossero la cosa più meravigliosa del creato e
promettessero ai riguardanti un prossimo gaudio. Il che mi sembrava esagerato
per le seguenti ragioni:
Prima di
tutto l’apparizione dei fumi non significava una maggiore probabilità che
quella porta si dovesse aprire, anche perché la fornacetta era spenta, e perciò
non vi era motivo sensato di tripudio e di gaudio.
Secondo:
tanto schiamazzo e giubilo, se udito dall’interno delle mura, come era
probabile, a meno che non fossero tutti campanari e sordi, come sorda era
appunto quella mia zia acquisita ch’era originaria di Villapiana e recava anch’essa
il cognome del pescivendolo e dello psichiatria di Cutolo, avrebbe, se mai,
dissuaso quelli dall’aprire, anziché incoraggiarli. Insomma, si sa come sono i
santarcangiolesi.
Terzo: quei
fumi, di per sé, non dimostravano neppure che Sant’Arcangelo fosse abitata.
Infatti non poteva trattarsi di un casuale incendio dovuto al sole torrido? Oppure,
ipotesi assai più probabile, erano i fuochi accesi da Giulia la
santarcangiolese per mandare segnali di fumo agli studiosi di Carlo Levi[vii]
e far loro capire che voleva andare pure lei a Torino a faticare alla Fiat o
magari aiutava il Manolio nell’officina di fabbro.
“Era molto
strano” io pensavo “che, oltre ai fiumi, nessun altro sintomo di vita fosse
stato notato in Sant’Arcangelo: né voci, né musiche, anche se tutti possono
temere l’irruzione degli agenti locali della Siae, o degli ispettori della Rai
che sono tutti "previdenziati" con l’Enasarco di Potenza, né ululati di cani, né
grida di scalzacani, né guardie svizzere del Vaticano, e non era stato fatto
ancora nemmeno il catasto enellunare
dell’Enel del 92, come la strada dell’Appenino Meridionale, che parte da Torre
Cerchiara e arriva a Potenza, dove, in una casella postale, c’è tuttora la sede
dell’Enel. Stranissimo.”
Allora io
dissi. “Dimmi, Latronico: quando è stata aperta la porta che tu dici, questa
gente è riuscita a entrare?”
“Un uomo
solo” disse Manolio.
“E gli
altri? Cacciati indietro?”
“Altri non c’erano.
Si trattava di una delle porte più piccole e segrete, e trascurate dai
pellegrini. Quel giorno c’era solo un messo ad aspettare, giunto verso sera, si
dette una pettinata, bevve un goccio di vino di Roccanova e bussò. E gli hanno
aperto perché era il messo che riferiva dalla città della Ruota e delle Tre bisacce.”
In quanto a
me, io ho aspettato quasi mezzo secolo, accampato fuori delle mura. E anche a
volte su un punto che dicevano che era parte dell’uliveto della mia madre
affidataria. Ma la porta non si è aperta. E adesso non me ne posso tornare al
mio paese degli Scalzacani, perché da lì mi hanno scacciato gli Ombroni e gli
Arbëresh associati. Comunque, mi hanno esiliato nel pantano che è compreso nel
Foglio n.222│Torre Cerchiara III N.O. della Carta
d’Italia dell’IGM.
[i]
Leggi: “Gaudèsc”, altrimenti detta “Gozo”,
ovvero: “Gaudio”.
[ii]
Briamonte.
[iii]
Stessa ora in punto quando “Magalon che mi sedeva al fianco disse:”Ecco,
signore” e infatti vidi le mura della città che si estendevano per chilometri e
chilometri”: Dino Buzzati, Le mura di Anagoor, in: Idem, Sessanta racconti,
Arnoldo Mondadori editore, Milano 1958.
[iv]
“Peperoni e uova”. Peperoni, è naturale, di Senise.I pellegrini dei paesi arbëresh attorno a
Castrovillari invece portavano cipolle di Castrovillari. Panë e cipùllë.
[vi]
E la madre di questo riformatore agricolo non era Latronico?
[vii] Vedi anche: Gaudio
Malaguzzi, La
našca
e il carattere sanguigno di Giulia, in gaudia 2.0│23
agosto 2014 .