L'esprit di Jean-Paul Sartre│ Mario Grasso

Jean-Paul Sartre ·by Peter Lindbergh

LA QUESTION E LE RIDICULE

I miei consueti tre lettori più affezionati si chiederanno perché proprio io al momento di dar titolo ricorra, per questa divagazione, una tantum, all’idioma dei  cugini d’Oltralpe. E resteranno ancor più perplessi apprendendo  la ragione (che effettualmente può  sembrare non esserci) di questo estemporaneo  ricorso alla langue des anges per dissertare su trame diaboliche.
     Suprema confessione, alla Esenin, potrebbe essere il denunciare la memoria di un mio Sartre segreto, non quello de La question, quanto quello che nel 1964 ha rifiutato il Premio Nobel.
     Eppure, dichiarando questo , contraddico le ragioni del titolo. Ma siccome le contraddizioni a me piacciono, perché tendo a sfuggirle invocando Voltaire, mi autoassolvo e insisto in forza di quell’altra occasione del capir che non c’è nulla da capire in questa valle del ridicolo in cui, più o meno tutti, navighiamo muniti di maschere. Che non sono maschere del genere che Fedro ha insultato scrivendo : “Cerebrum non habent”, infatti il mio rispetto verso il prossimo è grande quanto imprescindibile. Sono maschere le nostre (come defilarmi se ci sono naturalmente dentro?) che tendono al bello, alla pace, alla sapienza, alla diplomaticità , a proclamare che la forma è tutto, e via di questo tenore e disponibilità di sinonimi, come accomodamento a risalire fino all’inciucio & c.
    La premessa non vuole disorientare. Al contrario, pretende, a suo modo, di mettere avanti le mani per incoraggiare chi ha pazienza verso i poveri di spirito cui la cristianità (les cretiennes) promette il “Regno dei Cieli”. Ed ecco come il ricorso alla citazione di un esempio possa instradare il lettore di questa bizzarra divagazione: il premio e il premiare. Argomento base delle Scritture del Nuovo testamento:”Beati i poveri di spirito perché saranno premiati con l’ammissione nel Regno dei Cieli”.

2. Nel secolo delle “Pari opportunità” questa manfrina dei “poveri di spirito” non può essere disgiunta da quella da dedicare ai “ricchi di spirito”. Magari detto con altra locuzione, ma la sostanza è tale. Né si potrà negare che i poveri ci sono perché ci sono i ricchi e viceversa. Quale premio le pari opportunità destineranno alla parte ossimora dei poveri di spirito? Il Regno dei Cieli non sarà più disponibile, esso è stato assegnato, appunto, per decreto divino.  Qualcuno mugugnerà sia stato “metodo fascista”, dittatoriale. Ma direi di non miscedare a priori trinciando giudizi da senno del dopo. Sarebbe come nobilitare il fascismo e benedire le dittature dando loro legittimazione di secoli e secoli di storia col solo approssimativo datare post Cristum.
    Con l’umiltà dipinta sulla maschera cristiana ammettiamo piuttosto che i premi extra moenia rispetto al Regno dei Cieli, ci sono sempre stati. Basterà leggere le Olimpiche di Pindaro o per longevità di testimonianze certe allusività e altrettante relazioni lasciateci da Erodoto. Ma non divaghiamo a sfondare porte aperte, consentiamoci un pied a terre nell’Italia di oggi, che in materia di soli premi letterari ne annovera almeno due sotto ogni campanile a livelli parrocchiale-comunale-provinciale e delle Regioni. Qualcosa che tracima dal centomila come sottobosco, cui fa da contrappeso (o contrappasso?) il sontuoso parterre dei premi nazionali, dallo Strega, al Campiello, Viareggio, Mondello che si decide a Torino e si assegna a Palermo, Brancati, tanto per sostare altro momento in Sicilia  ma subito fermarci, con la scusa del  riprendere fiato,  in realtà per non riempire la pagina con appena una scelta dei cento e passa Premi letterari nazionali. Né sia iattura a questo punto della realtà dei premi e solo di quelli esistenti in Italia, quella di guardare con l’occhio di compatimento che senza volerlo uno rivolge all’unico premio des cretiennes, all’insegna del Regno dei Cieli per i poveri di spirito, implicitamente obbligati a un perpetuo ex aequo con milioni e milioni di pari merito per diritto Metafisico,voce questa a surrogato dell’attributo più impegnativo di “Divino”.
3. E il Premio Nobel? Ecco la posta, l’altro piatto della bilancia per i “NON poveri di spirito”. E la pari opportunità eccola servita in chiave non solo esclusivamente terrena, ma anche in password  di espiazione a carico (cioè vantaggio) dell’anima dell’inventore della dinamite, i cui effetti più recenti tanto per tornare in Sicilia saltibeccando tra premi e privilegi per poveri di spirito e ricchi del medesimo, potrebbero essere proposti con il modello Falcone-Capaci, Borsellino-via D’Amelio.
     I lettori di cui all’incipit di questa divagazione mi perdoneranno questo insinuare il dito sulla piaga e il rasentare l’impertinenza ma, anche per i premi le vie della Provvidenza sono infinite, frase storica anche per la mafia nel ricordo di una risposta di Riina al presidente del Tribunale che lo interrogava in aula e in pubblico.
     E qui metto fine all’impertinenza per tornare a bomba al Premio Nobel, che un signore  catanese d’alti meriti  e gusti un poco “mecenateschi” dal suo stato di plurimilionario è convinto sia da leggere “Premio riservato ai nobili”. Proprio così.  E contrito, tale luminoso signore catanese, di non appartenere alla categoria dei nobili solo perché arricchitosi da recente non può vantare un titolo di nobiltà acquisito in altre epoche, quando  a testimonianza del Federico De Roberto de I Vicerè erano considerati nobili anche i lavapiatti.
      Dunque il Premio Nobel come pari opportunità per i ricchi di spirito a petto dei poveri cari allo Spirito Santo. La question è servita. E anche le ridicole – mi perdoneranno le care grandi ombre da Grazia Deledda a Carducci, Pirandello, Quasimodo, Montale e Fo, pace alle loro anime, se non riesco a trovare di meglio della maestà e solennità del ridicolo al pensiero di doverli classificare “ricchi di spirito” a confronto con gli Joyce e i Proust (resto con la letteratura dei Poveri di spirito, da Svevo a Ungaretti, da Moravia a Leonardo Sciascia,  e fino a Giuseppe Bonaviri sponsorizzato quest’ultimo grande siciliano, dall’autorità etneo-accademica di Sara ed Enzo Zappulla ( come per Leonardo Sciascia l’impetuosa autorità avvallante di Giancarlo Vigorelli) per un Nobel che ha sempre snobbato i poveri di spirito. Adesso si parla tanto di Andrea Camilleri, ma è forte il dubbio di un trionfo predominante a favore dell’attore nel ruolo di Montalbano. L’Accademia di Svezia novello asino di Buridano, al momento di scegliere sul più ricco di spirito tra i due: lo scrittore Camilleri o l’attore Zingaretti.
     A suggerire altre vie (torna la verità delle vie infinite della Provvidenza e dei Premi)  due istituzione siciliane d’alta-media cultura  abilitate a proporre candidature al Nobel, non hanno frammesso alcun peritarsi lanciando una candidatura ragusana (già stagionata, da anni) di un poeta locale ragusano e quella attualissima dell’altro ieri di un giovane ancora sui vent’anni, palermitano di geniali imprese destinate a fare impallidire il cielo.
   A lume del mio fallibile naso, però  la Sicilia sbaglia di grosso dimostrandosi non  ben smaliziata in materia di corsa al Nobel  dell’attualità e del futuro, da che, provocatoriamente,  ignora e snobba il principio delle pari opportunità al momento di proporre nomi eccellenti di poveri di spirito, i cui i meriti sono gravati fatalmente dal marchio di povertà  e predestinati più al Premio Celeste cha al Premio Nobel. Una manfrina mascherata tra la question e le ridicole, come tutte le più eccelse vicende umane, dalle cui ceneri emerge, araba Fenice,  il gesto unico di rifiuto davvero nobile, aere perennius, di Jan Paul Sartre, nel 1964.
Mariograsso