SIBARITISMO TELAMONICO, IL KRONNYSSIBARITISMO ⁞ Mario Grasso



E L’UVA DI TROIA GIUNSE A SIBARI COL NOME DI AIACE

Divagazione cordialmente dedicata allAmicizia con V.S. Gaudio

Quello che mi è stato impossibile precisare circa la storia di quanto sto per evocare servendomi di confronti con fatti e dati certi intercettati a lume di concatenazione di eventi succedutisi nella Magna Grecia di quella volta, e con reale approssimazione al territorio di Sibari, è la data esatta. Particolare importante che non può essere conciliato con l’approssimazione offerta dal generalizzato uso di collocare nell’ambito di un intero secolo un evento di minore incisività storica,.  Per Sibari gli storici annaspano al momento di stabilire una data certa circa la sua fondazione a opera di achei e argolidi di Trezene. E a rendere ancor più nebuloso il tutto aggiungono il far capo al golfo di Taranto, come primo approdo dei coloni, la cui provenienza territoriale dovrebbe essere convenientemente indagata, con rigore, per integrarla di informazioni culturali. Insomma: perché greci di Atene o argolidi di Trezene decidono, in un certo momento, di abbandonare la patria e avventurarsi verso l’ignoto? Non pare si possa ricavare granché, oltre le scarne notizie che insinuano sospetti col frettoloso marchiare di “sfuggiti alle patrie galere” quanti approdavano tra le coste della Sicilia orientale (Naxos), la Calabria e la Puglia. Sentenza ingenerosa, sicuramente falsa in gran parte, come dimostrano alcuni fatti certi, anche se aureolati di leggendario, per altri esiti di falsità come quella sulla provenienza di Pitagora, che effettivamente visse tra Crotone e altre località calabre fino ai confini con la Pianura di Sibari. Pitagora non certo evaso da patrie galere. E insiste il richiamo di questo individuato territorio calabro perché i fatti che qui cerco di evocare a lume di naso, incerte tracce storiche degne di tale qualifica e riferimenti certi, che hanno avuto il loro teatro succedaneo al viaggio che prende consistenza dalle marinerie greche, nell’area della linea a zig-zag che partendo da Taranto passa per Crotone e fa sosta a Sibari.
     Ricorderò ai lettori, per poi non riprendere l’argomento, che sarà proprio Crotone a interrompere fasti e buona sorte di Sibari, muovendo contro la vicina città sorella fino a distruggerla nel 510 a. C. e a seppellirne le ricche memorie di due e passa secoli di predominio e di splendore, sotto il corso d’acqua deviato del Crati, destinato a coprirne le macerie. Atti d’amore ossimoro, tanto cari all'umanità, al punto da poter da soli certificare la presenza attiva di una speciale piétas innata, di cui si ripetono imprese sempre più come esito di geniali invenzioni finalizzate all'annientamento del proprio simile. Nei nostri giorni d’inizio Terzo Millennio le continuità delle prove generali abbondano in tutti gli angoli della terra, dall’Isis musulmano ai conàti buddisti della Corea del Nord e confortano, su basi solide come quelle dei colonnati della cristianità occidentale tra i campi di sterminio e le atomiche di Hiroshima e Nagasaki, rassicurando indirettamente sull’uomo nato per giocare a distruggere e conservar tale indole che da sola lo autorizza a ritenersi un mortale immortale.      
Divagazione fuori sacco, impertinente ma utile al momento di poter confrontare con il rispetto che il mortale-immortale, nella continuità delle passioni, è per converso altrettanto coerente nel suo bisogno del divino e dell’estetico, sia in senso virtuale sia in direzione concreta, come quella del palato. Crotone e Sibari, come vedremo. E siamo nell’anticamera della meta che ci si propone per concludere su Sibari e i sibariti. Stupendo come l’aggettivo significante evaporato dalle coperte fangose del fiume deviato, sia resistito all’usura linguistica e al riferimento semantico lungo i secoli arricchendosi di nuovi riferimenti di volta in volta, lievitando dall’originario indicare specialmente cibi, bevande e forse qualche tendenza ai richiami collaterali rispetto al vestiario come le calzature o la vanità appagante  dell’ingioiellare, fino ai nostri giorni dei neologismi su prevalente base anglofona, con locuzioni eccezionalmente imbevute di riferimento a una memoria unica e locale, tipo “automobilismo da sibarita”.
2. La triremi di Luommai Eulemoron, argolide di Trezene, aveva al  seguito altre nove imbarcazioni. La media pare sia stata di quattro persone di equipaggio in ciascuna. Nove in tutto le donne, tra cui la intraprendente Kronnyssi Telamonia, della stirpe del famoso personaggio omerico Aiace Telamonio.
     È da lei che prende corpo quanto troveremo da annotare riguardo alle origini del sibaritismo. Perché era stata proprio Kronnyssi ad avere portato con sé dalla patria un mannello di tralci del vitigno più caro alla stirpe principesca, dei Telamoni. Vitigno cui dopo la fine suicida dell’eroe degli anni dell’assedio di Troia, la parentela aveva deciso di attribuire il nome di Ajacea a perenne ricordo del consanguineo guerriero dalla gigantesca statura.  Qui, invero, si perdono le tracce che potrebbero far risalire la storia del vitigno alla più certa sua origine persiana  e a un genere di uva propria della troade di quegli anni, uva il cui mosto divenuto vino era rimasto probabilmente caro ad Aiace, che al momento di rientrare, a guerra finita aveva  – ed è tesi abbastanza credibile – portato in patria il prezioso vitigno. Lo stesso  che adesso la nipote si era premurata a prelevare e custodire amorevolmente per ricrearne vita e fruttare nella terra dell’avventura intrapresa fuggendo con Sirchomelao figlio di Euarzene, il giovane terzeno di cui si era innamorata al punto da farle decidere di abbandonare la ricca famiglia e i suoi agi. Storia, quest’ultima, su cui si auspica altri intinga le mani a poter digitare evocando a proprio poetico sentire una vicenda d’amore felice e solida come è stata, appunto quella di Sirchomelao e Kronnyssi.
      Ancora per la precisione bisognerà tener conto del cenno che troviamo su un impasto di argille come involucro per i tagli di base dei tronchetti dei tralci vitigni e della cura esclusiva che Kronnyssi non aveva ad essi fatto mancare fino al momento della finale stabilità agreste in terraferma. Non si è in condizione di precisare se il primo impianto dei tralci sia stato operato nei pressi di Crotone o che sia stato tutto avvenuto in unica volta in quella che sarebbe stata la terra di Sibari. Una discrasia infatti si frammette  per farci  trovare sia a Crotone, sia a Sibari le prime tracce dell’uva Aiacea. A Crotone sotto forma di vino sacro, adoperato esclusivamente per le libagioni nelle ritualità sacrificali e ricavato, appunto, esclusivamente dall’Aiacea (il bisogno umano di collegamenti con il metafisico e il suo tramite) un secolo dopo,  adoperato quindi esclusivamente nei riti religiosi della piccola colonia degli argivi che non avevano proseguito fino a Sibari. E come bevanda prelibata di questi ultimi che ispirandosi alla esclusività del prodotto del vitigno portato da Kronnyssi (che frattanto era passata ad altra vita), alla sua particolare finezza, profumo, abboccato e blanda alcoolicità, il bisogno di dare identità al gusto, al capriccio avevano ideato quello che sarebbe stato il sibaritismo di cui oggi adoperiamo riferimenti di nobiltà e unicità a carico di quel che eccelle; e non più solo per chi come quella volta si era dato la disciplina di distinguere per tutte le occasioni edule quelle autenticamente più esclusivamente raffinate, uniche come per il nettare ricavato dai vitigni aiacei.

 3. Qui mi fermo, se proseguissi rischierei di fiaccare l’attenzione e la richiesta di complicità che vorrei trasmettere al lettore di celate risorse sibarite. La parte curiosa (l’ordito di essa) che vale rinverdire potrebbe essere tutta qui, pur se  qui disordinatamente intramata. Il mio, con altre parole, è l’auspicio che altri possano intervenire con supplemento di ulteriori informazioni che definiremo “scientifiche” o paraveritiere al fine minimo di ridare vigore alla storia fin dalla sua origine circa la celebrata voce “gusto sibarita” o “dei sibariti”, raggiungendo l’approssimazione a una “verità sibarita”, davvero degna della storia dell’aggettivo scaturito dalle  oscillazioni del gusto edulo e dalle mollezze dei costumi propri della opulenta comunità di Sibari tra la pur breve parentesi dal Sesto al Nono secolo a. C.
mariograsso