Divagazione cordialmente dedicata all’Amicizia con V.S. Gaudio
Quello
che mi è stato impossibile precisare circa la storia di quanto sto per evocare servendomi
di confronti con fatti e dati certi intercettati a lume di concatenazione di
eventi succedutisi nella Magna Grecia di quella volta, e con reale
approssimazione al territorio di Sibari, è la data esatta. Particolare
importante che non può essere conciliato con l’approssimazione offerta dal
generalizzato uso di collocare nell’ambito di un intero secolo un evento di
minore incisività storica,. Per Sibari
gli storici annaspano al momento di stabilire una data certa circa la sua fondazione
a opera di achei e argolidi di Trezene. E a rendere ancor più nebuloso il tutto
aggiungono il far capo al golfo di Taranto, come primo approdo dei coloni, la
cui provenienza territoriale dovrebbe essere convenientemente indagata, con
rigore, per integrarla di informazioni culturali. Insomma: perché greci di
Atene o argolidi di Trezene decidono, in un certo momento, di abbandonare la
patria e avventurarsi verso l’ignoto? Non pare si possa ricavare granché, oltre
le scarne notizie che insinuano sospetti col frettoloso marchiare di “sfuggiti
alle patrie galere” quanti approdavano tra le coste della Sicilia orientale (Naxos), la Calabria e la Puglia.
Sentenza ingenerosa, sicuramente falsa in gran parte, come dimostrano alcuni
fatti certi, anche se aureolati di leggendario, per altri esiti di falsità come
quella sulla provenienza di Pitagora, che effettivamente visse tra Crotone e
altre località calabre fino ai confini con la Pianura di Sibari. Pitagora non
certo evaso da patrie galere. E insiste il richiamo di questo individuato
territorio calabro perché i fatti che qui cerco di evocare a lume di naso,
incerte tracce storiche degne di tale qualifica e riferimenti certi, che hanno
avuto il loro teatro succedaneo al viaggio che prende consistenza dalle marinerie
greche, nell’area della linea a zig-zag che partendo da Taranto passa per
Crotone e fa sosta a Sibari.
Ricorderò ai lettori, per poi non riprendere
l’argomento, che sarà proprio Crotone a interrompere fasti e buona sorte di
Sibari, muovendo contro la vicina città sorella fino a distruggerla nel 510 a.
C. e a seppellirne le ricche memorie di due e passa secoli di predominio e di
splendore, sotto il corso d’acqua deviato del Crati, destinato a coprirne le
macerie. Atti d’amore ossimoro, tanto cari all'umanità, al punto da poter da
soli certificare la presenza attiva di una speciale piétas innata, di cui si
ripetono imprese sempre più come esito di geniali invenzioni finalizzate all'annientamento del proprio simile. Nei nostri giorni d’inizio Terzo Millennio le continuità
delle prove generali abbondano in tutti gli angoli della terra, dall’Isis
musulmano ai conàti buddisti della Corea del Nord e confortano, su basi solide
come quelle dei colonnati della cristianità occidentale tra i campi di sterminio
e le atomiche di Hiroshima e Nagasaki, rassicurando indirettamente sull’uomo
nato per giocare a distruggere e conservar tale indole che da sola lo autorizza
a ritenersi un mortale immortale.
Divagazione
fuori sacco, impertinente ma utile al momento di poter confrontare con il
rispetto che il mortale-immortale, nella continuità delle passioni, è per
converso altrettanto coerente nel suo bisogno del divino e dell’estetico, sia
in senso virtuale sia in direzione concreta, come quella del palato. Crotone e
Sibari, come vedremo. E siamo nell’anticamera della meta che ci si propone per
concludere su Sibari e i sibariti. Stupendo come l’aggettivo significante evaporato
dalle coperte fangose del fiume deviato, sia resistito all’usura linguistica e
al riferimento semantico lungo i secoli arricchendosi di nuovi riferimenti di
volta in volta, lievitando dall’originario indicare specialmente cibi, bevande
e forse qualche tendenza ai richiami collaterali rispetto al vestiario come le
calzature o la vanità appagante dell’ingioiellare,
fino ai nostri giorni dei neologismi su prevalente base anglofona, con
locuzioni eccezionalmente imbevute di riferimento a una memoria unica e locale,
tipo “automobilismo da sibarita”.
2. La triremi
di Luommai Eulemoron, argolide di Trezene, aveva al seguito altre nove imbarcazioni. La media
pare sia stata di quattro persone di equipaggio in ciascuna. Nove in tutto le
donne, tra cui la intraprendente Kronnyssi
Telamonia, della stirpe del famoso personaggio omerico Aiace Telamonio.
È da lei che prende corpo quanto troveremo
da annotare riguardo alle origini del sibaritismo.
Perché era stata proprio Kronnyssi ad
avere portato con sé dalla patria un mannello di tralci del vitigno più caro
alla stirpe principesca, dei Telamoni. Vitigno cui dopo la fine suicida dell’eroe
degli anni dell’assedio di Troia, la parentela aveva deciso di attribuire il
nome di Ajacea a perenne ricordo del
consanguineo guerriero dalla gigantesca statura. Qui, invero, si perdono le tracce che potrebbero
far risalire la storia del vitigno alla più certa sua origine persiana e a un genere di uva propria della troade di quegli anni, uva il cui mosto
divenuto vino era rimasto probabilmente caro ad Aiace, che al momento di rientrare, a guerra finita aveva – ed è tesi abbastanza credibile – portato in
patria il prezioso vitigno. Lo stesso che adesso la nipote si era premurata a
prelevare e custodire amorevolmente per ricrearne vita e fruttare nella terra
dell’avventura intrapresa fuggendo con Sirchomelao
figlio di Euarzene, il giovane terzeno di cui si era innamorata al punto da farle
decidere di abbandonare la ricca famiglia e i suoi agi. Storia, quest’ultima,
su cui si auspica altri intinga le mani a poter digitare evocando a proprio
poetico sentire una vicenda d’amore felice e solida come è stata, appunto
quella di Sirchomelao e Kronnyssi.
Ancora per la precisione bisognerà tener
conto del cenno che troviamo su un impasto di argille come involucro per i
tagli di base dei tronchetti dei tralci vitigni e della cura esclusiva che Kronnyssi
non aveva ad essi fatto mancare fino al momento della finale stabilità agreste in
terraferma. Non si è in condizione di precisare se il primo impianto dei tralci
sia stato operato nei pressi di Crotone o che sia stato tutto avvenuto in unica
volta in quella che sarebbe stata la terra di Sibari. Una discrasia infatti si frammette
per farci trovare sia a Crotone, sia a Sibari le prime
tracce dell’uva Aiacea. A Crotone
sotto forma di vino sacro, adoperato esclusivamente per le libagioni nelle
ritualità sacrificali e ricavato, appunto, esclusivamente dall’Aiacea (il bisogno umano di collegamenti
con il metafisico e il suo tramite) un secolo dopo, adoperato quindi esclusivamente nei riti religiosi
della piccola colonia degli argivi che non avevano proseguito fino a Sibari. E
come bevanda prelibata di questi ultimi che ispirandosi alla esclusività del
prodotto del vitigno portato da Kronnyssi (che frattanto era passata ad altra
vita), alla sua particolare finezza, profumo, abboccato e blanda alcoolicità, il
bisogno di dare identità al gusto, al capriccio avevano ideato quello che
sarebbe stato il sibaritismo di cui
oggi adoperiamo riferimenti di nobiltà e unicità a carico di quel che eccelle;
e non più solo per chi come quella volta si era dato la disciplina di
distinguere per tutte le occasioni edule quelle autenticamente più
esclusivamente raffinate, uniche come per il nettare ricavato dai vitigni
aiacei.
3. Qui mi
fermo, se proseguissi rischierei di fiaccare l’attenzione e la richiesta di
complicità che vorrei trasmettere al lettore di celate risorse sibarite. La
parte curiosa (l’ordito di essa) che vale rinverdire potrebbe essere tutta qui,
pur se qui disordinatamente intramata.
Il mio, con altre parole, è l’auspicio che altri possano intervenire con
supplemento di ulteriori informazioni che definiremo “scientifiche” o paraveritiere
al fine minimo di ridare vigore alla storia fin dalla sua origine circa la
celebrata voce “gusto sibarita” o “dei sibariti”, raggiungendo l’approssimazione
a una “verità sibarita”, davvero degna della storia dell’aggettivo scaturito
dalle oscillazioni del gusto edulo e
dalle mollezze dei costumi propri della opulenta comunità di Sibari tra la pur
breve parentesi dal Sesto al Nono secolo a. C.
mariograsso