“O Gnesa, o Gnesa, che culo che tieni!” Catwoman.3 |
La
voglia di Gnesa∏
Più tardi, pensò Gnesa B., una giovane
moglie al quarto mese di gravidanza, mi farò una voglia.
In jeans neri e giubbetto di pelle, era
sul balcone e stava parlando con un genitore sotto ed era il 21 gennaio, aveva
appena salutato con un gesto d’intesa, e forse anche con l’occhiolino, il poeta
che passava nella sua passeggiata di mezzogiorno dei pensieri morbosi; si piegò
un po’ sulla ringhiera per tendere di più il corpo e salutò il genitore.
Rientrata nascose la voglia, come Colombo
l’uovo nel cassetto, metti che l’abbia messa sopra il letto o sulla poltrona
vicino al balcone.
Non si può dire che l’abbia dimenticata,
come Colombo fece con l’uovo[i]. Anzi, ogni giorno
prendeva la sua voglia e se la faceva o era essa stessa che veniva, quasi di
soppiatto, senza neanche bussare, se ne stava a letto, a riposare e la voglia
la prendeva, ripetutamente, la voglia non finiva mai, la faceva, lei veniva, e
ancora la voglia che tornava, anche quando girava per casa o seduta in cucina,
mangiava, e la voglia stava seduta con lei, anzi la teneva sotto di lei, una
voglia indicibile, impensabile che ci potesse essere una voglia così, anche
oscena, se vogliamo, come ogni voglia, almeno indecente, e personalissima,
vorace e assetata, liquida e solida, un giorno lei pensò che la voglia pesasse
almeno tre chili e che, nell’arco di una giornata, come liquido, era una voglia
di tre, quattro litri. Fisiologicamente, tutto corrispondeva nel metabolismo
della giovane moglie pregna: tanta voglia ingurgitava, tanta, come dire, ne
evacuava(espelleva); quando andava fuori a fare la spesa o a passeggiare, la
voglia le stava prima addosso, dietro, solida, pesante, turgida, e liquida
anche;poi, le veniva dentro, dietro e davanti, le piaceva camminare con questa
voglia che le veniva dentro, e che era quella voglia che solo lei aveva e
allietava, la portava a spasso e la voglia la rimpinzava di voglia, solida e
liquida, sempre di più, senza tregua,
passo dopo passo, la voglia le si ingasava
nell’animus, o era l’animus stesso che s’era solidificato nella liquidità della
voglia, che, per lei, aveva un nome o un sostantivo, e anche una schema
verbale, questo sostantivo-archetipo della voglia di Gnesa B. che l’aveva
invasa quel 21 gennaio sul balcone, e quella voglia, una volta rientrata in
casa, non le era più uscita né dall’animus né dal corpo. Lei le aveva dato
questo nome, questo peso di tre chili, e certi giorni quattro litri e un quarto,
una voglia che non s’era mai vista, e nemmeno sua madre o le sue zie, o sua
nonna, le cugine, dentro la sua famiglia, insomma, nessuna donna pregna aveva
mai visto una voglia così grande e invisibile; d’altronde, anche per l’uovo di
Colombo, nessuno a bordo aveva mai visto un uovo. Figuriamoci se potevano
arrivare a pensare che servisse per lo zabaione.
Un giorno la zia, stando seduta accanto a
lei al fuoco, la giornata era fredda e piovosa, la guarda, le sorride e le
chiede se ha avuto già la voglia,anzi: quanta voglia ti sei fatta finora?
E una notte, dormendo con la cugina che
era già stata gravida più volte, questa, accarezzandole il sedere da mesomorfa
pregna e lodando la pelle e il tegumento, la carne e il turgore vitaminico di
tutto il corpo, le chiede quanta voglia si è fatta o le è venuta dentro e
fuori, sotto e sopra, in mezzo e in faccia, o l’ha tenuta a due mani
schiumandola con quella sua bocca, insomma: quanta voglia ti sei fatta finora?
La madre stessa, in un’altra notte,
accarezzando il corpo della figlia e lodandone lo stato di puledra pregna, e
quel sedere, le sussurra: Gnesa, che culo che tieni, sembri la Gnesa di Acri,
di quel prete[ii],
buon’anima, che stava a guardare il culo di Gnesa che andava a riempire l’orcio
alla fontana ogni santo giorno e puoi immaginare che culo avesse nei giorni più
densi e canonici del ciclo, nemmeno tua zia, alla tua età, quand’era gravida
come te, aveva un culo come il tuo…Gioia mia e culo della razza nostra e gaudio
del portatore della voglia: quanta voglia te lo ha fatto finora?
Quando la pregnanza volse al termine e
passarono mesi, e venne quasi l’inverno, un giorno il marito, giovane come lei,
ancorché non avvezzo e avveduto quanto la moglie così buona e saggia, prudente
peccatrice per preservarsi il gaudio della voglia tutta sua, apre quel
cassetto, come se fosse quello dell’uovo di Colombo, e, nell’animus della
moglie, così liquido e solido, come la voglia lo aveva fabbricato, stando a
mollo egli stesso in quella voglia nascosta della moglie, le chiede: quanta di
quella voglia nascosta, tenuta in grembo e nel culo, manco fosse l’uovo di
Colombo, ti sei fatta allora e com’è che ti è venuta così addentro e pervasiva?
Nel calendario ho segnato giorno per
giorno i passaggi e le entrate della voglia, e anche le uscite, per quanta ne
facevo, ogni giorno, e anche di notte, la capacitanza attiene all’orologio ad
acqua, si riempiva e si svuotava, tanta ne tiravo su e tanta ne prendevo, e
tanta ne facevo uscire, anche fuori venivo e facevo, invogliavo la voglia, e la
voglia si inficcava e dilatava la condotta, avevo un passo, certe volte, così
colmo che traboccava sempre e la voglia, scemando, andava schiumata come se l’orifizio
debba essere un imbuto o un colino, la voglia, precisò al marito giovane, ha un
sostantivo, un nome, è per questo un archetipo e come verbo fa, prende,entra,
senza bussare, e poi gozzoviglia, quello che mi piace di quella voglia è che,
tenuto nascosto in un cassetto o nel profondo dell’animus, è come se esaltasse
il culo di Gnesa, che, come mi ha detto mamma, sono io che adesso ne
assolutizzo l’esemplare, ed è questo orcio che va riempito di gaudio solido e
liquido, e poi va svuotato, e di nuovo riempito, per via della capacitanza e del bioritmo, il gaudio stesso è come se
fosse lo gnomone ad acqua, e, mamma pure me l’ha detto, la voglia spacca il minuto
e a noi che abbiamo il quadrante di razza
e lo gnomone solare che è bilanciere e meridiana la voglia spacca il
secondo. Baciò il marito e gli sussurrò in bocca: è la voglia del gaudio, è come
l’uovo di Colombo, un giorno tu apri il cassetto, come gli altri, e i marinai
di Colombo trovano lo strano sferoide bianco,allibiti, vi chiedete l’un l’altro,
o ognuno per sé: E questo che cos’è? Quello era l’uovo di Colombo, che più o
meno serve a impalmare, come hai fatto tu, sussurrò al marito,serrandoglielo, e
questo animus della mia voglia è il nome
di Gaudio, che serve a impalmarmi e a impalarmi, e anche a farmi ingozzare di zabaione e a farmela
uscire fuori la voglia, liquida e solida, tre chili e quattro litri e un quarto
nei giorni critici del bioritmo. La voglia di gaudio, che è l’uovo di Colombo,
il piacere singolare di Gnesa[iii] e del poeta.
La voglia, tra Heimlich e Lust, e anche
desire e wish, fa , quando macchia, birthmark, e non è detto che il marchio sia
solo sulla pelle del generato, e quando attiene alla donna incinta fa anche carving,
la cui radice è lo schema verbale dell’avere una gran voglia, addirittura
morire dalla voglia di, fino a chiedere insistentemente, implorare. Sta sempre
rinserrata dentro, non va più via e, non solo dal balcone, manda segnali
equivoci e inequivocabili al poeta passeggiatore, trova, come dire, e non si sa
di preciso quando, ovvero quando la voglia ritorna e sale al meridiano, allora
è come se ci fosse bisogno di fare una deissi al personaggio che ha fabbricato
la voglia o ha partecipato alla fabbricazione, alla macina, al marchio e alla
macchia, alla liquidità dello gnomone di razza, trova, il modo giusto, come
quando il poeta ricevette una busta, con lo stesso indirizzo da cui la puledra
pregna lo aveva salutato e, tra i nomi trascritti tra mittente e destinatario,
un nome connaturato allo status storico del poeta, come se, tra Heimlich,
balcone e strada, la voglia pur non uscendo di casa, dal proprio dentro,
davanti, dietro, sopra e sotto, in quell’angolo, vada a riconoscersi nella
voglia del poeta-visionatore.
Dentro la busta, 17 fotografie di una donna giovane e incinta in maillot de bain,
come se fosse stata fotografata in piscina o al mare,la quantità delle pose è
il numero della posizione che nel Foutre
du Clergé de France[iv] è quella
naturalmente usata dalla donna incinta(denominata “la pecorina”), anche quando sta facendosi fare la 31(che è quella
denominata “il clistere portentoso”),
e un foglio con questa didascalia: “Dentro ognuna c’è fatta e pregna la mia
voglia del gaudio, dove vedi quella liquida di almeno tre litri al giorno e in
quale riconosci l’invasamento notte e giorno del gaudio di tre chili? Ogni
giorno che farai la voglia la posterai nel tuo account in modo che io il giorno
appresso rifarò la stessa tua voglia dentro lo stesso corpo in maillot de bain che
hai riempito e fatto svuotare di gaudio. Poi, dopo una settimana o quattro,dentro
il ciclo dell’emotività e della luna: lo vedremo di volta in volta, sarò io a
mettermi, ogni giorno, il maillot de bain giusto per avere la mia voglia di
gaudio. Se ne hai voglia ancora, saziami la voglia tutta la notte. Scrivi, come
didascalia alla foto scelta: “Gnesa ha la
voglia di gaudio”. Io scriverò: “Gaudio
colma la voglia di Gnesa”. O forse è
meglio mettere: “L’uovo di Gnesa”?
“O Gnesa, o Gnesa, che culo che tieni!” Catwoman.1 |
“O Gnesa, o Gnesa, che culo che tieni!” Catwoman.2 |
“O Gnesa, o Gnesa, che culo che tieni!” Catwoman.3 |
E anche altre due patafisiche fotografie,
che ritraggono l’attante in jeans: in una è a passeggio tutta nella voglia ;
nell’altra, è dentro i jeans che aveva quel giorno sul balcone, nella foto,
naturalmente, non è in tenuta invernale, quando aveva il giubbetto di pelle,
come l’aveva pure il poeta passeggiatore. Infine, forse come residuo del
piacere singolare nel “Carnevale”, altre sei fotografie in cui l’attante, tra cosplay e deviantart, si è travestita da Catwoman,
una Catwoman mesoendomorfa tutta
pregna della voglia di gaudio somatizzata. Cosicché il totale espresso al
visionatore salutato, con la voglia, sia 25,
il numero della posizione che nel Foutre è quella denominata “l’anatra”, in cui Gnesa si mette in
ginocchio sulla sponda del letto o su una sedia, sia come Catwoman che in uno dei tanti maillots de bain se non nella tuta
viola di Asagi Igawa, il culo sui
talloni, e il poeta della voglia, in piedi, dietro di lei, le colma la voglia,
profondamente da impalatura o più in superficie, a seconda dell’entrata per
impalmare la voglia di gaudio di Gnesa e del poeta passeggiatore.
│! Gaudio Malaguzzi © 2017
[i] Cfr. Achille Campanile, L’uovo di Colombo, in: Idem, Vite degli uomini illustri, Rizzoli, Milano
1975.
[ii] Si riferisce al prete
Vincenzo Padula: “O Gnesa, o Gnesa, che
culo che tieni!”, vedi: Giulio Palange,
La regina dai tre seni.Guida alla Calabria magica e leggendaria, Rubbettino,
Soveria Mannelli 1994: ACRI/CS: Il culo di Gnesa.
[iii] Cfr. Harry Mathews, Singular Pleasures, P.O.L. éditeur, Paris 1983.
[iv] Cfr. Les
quarante manières de foutre, dédiées au Clergé de France(1790), Librairie
Arthème Fayard, Paris 1986.
" L'uovo di Gnesa" vs la voglia di Gaudio? |
sono online su gaudia 2.0│
La voglia di Gnesa anticipa il futuro nuovo oggetto d'amore Mitsuko
La voglia di Gnesa è in qualche modo speculare, senza che l'autore ne conosca all'atto del suo elaborato l'esistenza, al film di Denis Villeneuve, "Enemy", 2013, tratto da L’uomo duplicato di Saramago, con Jake Gyllenaal e Sarah Gadon
La voglia di Gnesa anticipa il futuro nuovo oggetto d'amore Mitsuko
La voglia di Gnesa è in qualche modo speculare, senza che l'autore ne conosca all'atto del suo elaborato l'esistenza, al film di Denis Villeneuve, "Enemy", 2013, tratto da L’uomo duplicato di Saramago, con Jake Gyllenaal e Sarah Gadon
→Si consideri come "Enemy"(leggi: 'enimi) allitteri "Enema"(leggi: 'enimë): nel testo del nuovo piacere singolare costituito da Gaudio Malaguzzi è palese il riferimento alla 31 del Foutre du Clergé
Non si esclude che un altro dei nuovi piaceri singolari
possa essere incentrato prossimamente proprio sull'attante interpretato da Sarah Gadon in "Enemy"