Federica Pellegrini e il (-phipi).


Il dorso del (-phipi)|(-φπ)
Mettiamo che un poeta si metta lì a guardarla la nuotatrice tutta nel suo meridiano contrassegnato dal 3 del blocco di partenza, che è basamento o epitaffio,  e la ami follemente per tre giorni, e tre notti, chi può essere così folle da considerare, anche su “Chi” o il “Novella 2000” del XX secolo, che lei, essendo un trofeo o un monumento dell’acqua,  possa aver riamato il poeta-visionatore per un periodo di tempo all’incirca corrispondente? Giorgio Manganelli avrebbe potuto testimoniare che il poeta incontrò la nuotatrice per caso il quarto giorno, quando da due ore, facciamo tre, aveva cessato di amarla. Come nella Centuria Quarantanove: inizialmente, fu un incontro lievemente imbarazzante[i], anche perché lei non era sul bordo della piscina; tuttavia, non dissero una parola, e la nuotatrice fece anzi finta di non aver mai visto e conosciuto siffatto visionatore. In realtà, c’è chi dice che anche la donna aveva cessato di amare il poeta, e si stava preparando per la prossima gara, e lui allora la vide ancora così sul bordo della piscina, al blocco di partenza,  come se fosse il Meridiano 3, e quindi con uno scarto di 12 minuti. Come se pure a lei mancassero sempre i 12 minuti che mancavano a Aurélia Steiner di Durrës. E quindi con la stessa mancanza o assenza che non ha bisogno di alcuna diversione mistica, né fa sì che la sua estraneità alla propria cultura sia troppo grande[ii].
C’è anche chi dice che nessuno può amare un’infrastruttura o una sorta di monumento somatico[iii], per quanto fosse di spalle, e sembra che anche la donna rammentasse quei dodici minuti di differenza come se fossero quasi i suoi sei piedi di altezza o, c’è chi lo insinua, come se fosse un assiduo frequentatore dei seminari di Lacan, i 12 pollici dell’oggetto “a” dell’atleta acquatica. Che non è detto che non ne traesse argomento di amarezza, di frustrazione, di rancore per via dell’orologio ad acqua. Per questo, il poeta cercò di scriverle un biglietto, o una semplice email, in cui mostrarle come quei 12 minuti rivelassero, per via del suo dorso così costituitosi come terzo Meridiano, una sorta di innalzamento speculare all’innalzamento del  (-phi) : quindi lei era qualificata come fisicamente superiore; la vedi ed esclami: il drago non è stato ucciso dal cavaliere, oppure: non è vero che solo un cavaliere può uccidere un drago, o un poeta, ad esempio, e non un militare di carriera, e nemmeno un finanziere o un carabiniere che fa il campione sportivo; il drago giace abbattuto, non importa se trafitto, dissanguato e tuttavia esangue, in mezzo a bisce, rane, conchiglie, sul bordo della piscina, poi, se vai a vedere, dei draghi si sa poco o niente, a differenza dei poeti che come i cavalieri che uccisero alcuni draghi ignorano, dei draghi, anche il poco che se ne conosce.
La nuotatrice ribatté che la sua superiorità fisica era fuori questione, tanto lei era arrogante e presuntuosa, era del Leone, ma che in questo caso qualcuno ne aveva abusato, e l’aveva coperta di oltraggio, calcolato e freddo, addirittura per tre giorni e tre notti, lei tutta in maillot de bain pronta a tuffarsi, immobile nella fotografia e nell’occhio del poeta, e quei dodici minuti, quantunque non fossero i 12 pollici di non so  che cosa, scavavano fra di loro un abisso che nulla avrebbe mai più colmato. E il colmo, disse la tosta campionessa dell’acqua che aveva ucciso il drago, è che non vedo come si possa amare un frivolo e sensuale, in sostanza quel poeta non è che un manualista seguace di quel monaco, come si chiama? Quello che è del Leone pure lui, quell’Ignazio, sugli esercizi del quale tanto scrisse Roland Barthes.
Il poeta cercò di far notare che, giacché più non v’era amore, il problema poteva considerarsi superato, e comunque non tale da indurli a troppe amare considerazioni, seppure lei continuasse a rimanere così eretta al Meridiano e col dorso nella finestra visiva del poeta-visionatore: ma sapete com’è il poeta, lo disse con una certa retorica della vivacità, che tradiva  la paura di non poter più amare la nuotatrice nemmeno guardandola da dietro.
Tanto che lei rispose che la fine del loro amore, e si mise a ridere: chiamiamolo così, si rivolse al poeta che stava giù, quasi sarcastica, caustica come le campionesse sportive del Leone sanno naturalmente essere, era non già un conforto, sai quanti ne trovo di follower a seguirmi e a guardarmi non solo sul bordo della piscina con quel maillot de bain che, poi, che cosa aveva di così patagonico?, ma era solo l’indizio che qualcosa di pravo era stato fatuamente consumato.
E il poeta: e ne porti le cicatrici?
La nuotatrice, quella che la conosciamo tutti com’è: tu devi essere strambo, d’altronde non solo fai il poeta ma anche gli esercizi a mano di quel gesuita: ho detto “pravo”, e non so da dove è uscito, forse per via della cantante che ha la mia stessa Herkunft territoriale, cioè acquatica?
Il poeta ebbe una breve risata, si sa come sono i poeti, non ridono mai, e quando ridono è come quando fanno, anche se sono alti pure essi sono sempre brevi, ma il fatto è che non fu cordiale, anche perché anche lui era del Leone, e le nuotatrici gli stavano sul (-phi), non solo quelle sul bordo 3 della piscina.
In quell’istante, cominciò tra i due un grande odio, tra Venezia e il bordo della piscina, il meridiano dei 12 minuti e i 12 pollici del (-phi), Ignazio di Loyola e Jacques Lacan, Giorgio Manganelli e la Centuria Quarantanove, un odio meticoloso e travolgente; entrambi in qualche modo sentivano che quella differenza di 12 minuti era veramente qualcosa di atroce, e che qualcosa era accaduto che aveva reso impossibile la vita ad almeno uno dei due.
Ora, il poeta dice: adesso che cosa dovrò fantasticare, le iniziali del tuo nome, per allitterare il (-phi) che si innalza al Meridiano[iv] e ti guardo che stai lì eretta nel tuo patafisico nageur e stai per tuffarti, e allora perché cazzo non vai a tuffarti da un’altra parte, vai a farti un bagno tu e quel (- phitreista) di Lacan!
La nuotatrice, come se lo afferrasse per il bavero: è fantastico, cosa dovrai fantasticare, pravo esercitante dello Shummulo, cosa credi,  pensi che non sia a conoscenza della pulsione di Szondi che anima i tuoi esercizi singolari? Invece di stare lì a guardarmi il dorso, e vabbè che hai fatto un poemetto intitolato”L’entusiasmo del dorso” quando io non ero ancora nata e l’hai dedicato a dei pravi fantasticatori come te[v], perché non ti metti pure tu un maillot de bain, ti metti qui sul bordo 3 della piscina e ti faccio diventare un farfallista provetto rifilandoti  un calcio in culo con i 12 pollici del mio piede ?!

Mini-Lebenswelt di V.S. Gaudio con Federica Pellegrini e Giorgio Manganelli!



[i] Cfr. Giorgio Manganelli, Quarantanove, in: Idem, Centuria. Cento piccoli romanzi fiume, Rizzoli 1979.
[ii] Cfr. V.S. Gaudio, Aurélia M Gurgur. Aurélia Steiner de Durrës, I libri di Uh Magazine, Collezione Aurélia Steiner, Edizione speciale numerata e firmata 2018:pag.23.
[iii] Si può pensare anche a qualcosa come uno stabilimento industriale, se non un arsenale, l’arzanà stesso di Venezia, insomma un’officina, un’impresa, nell’ambito della navalmeccanica e della cantieristica, una fabbrica bellica del nuoto.
[iv] Il (-φ) di Lacan ha in sé o, quantomeno, è speculare alle iniziali della nuotatrice, che alcuni pensano che potesse essere Federica Pellegrini. Sarebbe non certo un semplice (-effepi) ma il patagonico (-phipi). Precisamente, per un poeta-visionatore seguace di Lacan: (-φπ).
[v] L’entusiasmo del dorso è apparso la prima volta, corredato di un disegno di Klelia Kostas, in “Lettera” n.9, Cardiff 1976. E’ compreso in: V.S. Gaudio, Sindromi Stilistiche, Forum/Quinta Generazione 1978. Era dedicato a Georges Bataille, Camillo Pennati e Franco Spisani. Era stato scritto nel Pantano di Villapiana nel settembre 1975.