Un cartolina di Silvia Comoglio ⌺ per Aurélia Steiner d'Ajacciu e de Tunis


Una cartolina per Aurélia Steiner d’Ajacciu e Aurelia Steiner de Tunis

Aurélia Steiner d’Ajacciu e Aurélia Steiner de Tunis. Ovvero, un’unica e sola Aurélia Steiner che si scardina e
suddivide in un io e un tu? Che sa essere se stessa e alterità, parte e controparte di un tutto che fiorisce in/da un singolare piano e intreccio verbale? Oppure due distinte Aurélia Steiner? Due autonome figure di donna e parola con quell’unico vertice, il nome, in comune? Aurélia Steiner, quindi, come mistero enigma impasse. Una o due? E a sovrastare questo uno o due il nome in comune. Il nome in comune,  o anche: il vertice che tiene saldo l’enigma e l’impasse. Un vertice che con la sua carica magnetica attrae e
sorprende, un vertice che cattura nella sua rete un occhio in bilico continuo tra parole che deflagrano e si adagiano, così, nello spazio della pagina, parole che reggono un  idioma come il sabir privo di grammatica e ortografia. E in questo reggere l’assenza di una grammatica, di un’ortografia, la parola si fa libera e viva, e imprime questo suo essere libera e viva ad Aurélia Steiner che nella parola è e si condensa. Libera, Aurélia Steiner,  di essere movimento fisico e intimo incontro con l’Eréndira di Gabriel Garcia Marquez, con Enea e Didone, con la brezza che dal mare arriva sulla Place Maréchal Foch. 
Una vicenda esistenziale che si fa plastico flusso del tempo, prospettiva capace di fecondarsi, di concepirsi, parola dopo parola, spogliandosi di regole e convenzioni. Una realtà emotiva, Aurélia Steiner, che, si direbbe, ribalta il normale andamento delle cose nel rapporto col tempo. Non è lei, infatti, nella lotta col tempo il vicolo cieco, è il tempo ad esserlo, perché è Aurélia Steiner, la donna/parola libera e vibrante, a dare la sua impronta al tempo, a demarcarlo con il suo corpo, con la sua logica indecifrabile. Che è poi anche la stessa di chi l’ha creata, ossia del poeta che ha fatto di lei la sua teoria, la sua  forma di essenza epica e linguaggio. La sua libertà. Silvia Comoglio