Estratto da "La Bibbia dei Villani", Dario Fo
Carissimi, questa settimana vi raccontiamo un’altra storia tratta dalla Bibbia dei Villani di Dario Fo.
Si racconta della nascita dei primi esseri umani e dell’amore…
Nel testo originale a fronte della versione in italiano trovate la traduzione in una lingua del centro-meridione e moltissimi disegni di Dario.
Immaginate che a leggervi questa storia sia la voce di Franca…
Buon divertimento.
Si racconta della nascita dei primi esseri umani e dell’amore…
Nel testo originale a fronte della versione in italiano trovate la traduzione in una lingua del centro-meridione e moltissimi disegni di Dario.
Immaginate che a leggervi questa storia sia la voce di Franca…
Buon divertimento.
I Dòi amorosi
Entorciga' deréntro li baccèlli come faggiòli
Entorciga' deréntro li baccèlli come faggiòli
Prologo
Ci rendiamo conto che i contastorie della Bibbia dei villani hanno tratto ispirazione da testi che non appaiono nel Sacro Testamento ma provengono addirittura da Bibbie apocrife. Cosi' grazie a questi altri testi non omologati veniamo a scoprire con grande sorpresa che in quelle versioni i nostri progenitori non sono Adamo ed Eva ma altri due personaggi, pieni di gioia di vivere, di passione.
Dio, dopo averli messi al mondo, si pente di quella creazione. Sono due creature che vivono abbracciate dentro un grande baccello, infatti il racconto s’intitola: I dòi amorosi entorciga' derèntro li baccèlli come faggiòli. Pare che solo mille e mille anni dopo nascono i nostri progenitori biblici, Adamo e Eva.
Come in altre storie di altre religioni, la prima donna, nel nostro caso Eva, viene sempre accusata di esser causa di sciagure. Basti pensare alla favola dell’abbuffata di mele proibite con relativa cacciata dal paradiso.
Ma nelle storie della Bibbia dei villani Eva ha un ben altro ruolo: non e' il simbolo della scellerataggine, della lascivia e del peccato, anzi. e' lei che mostra gran saggezza nel raccontare e commentare la sua venuta in “dell’onovèrso mónno”, nello scoprire con ironia il suo corpo. Ci racconta anche dell’incontro con la Grande Madre, una dea quasi clandestina. Ed e' ancora lei che per prima scopre l’amore e lo insegna ad Adamo, allocchito e imbranato.
A proposito del primo incontro fra Adamo e Eva e della scoperta del far l’amore, ci siamo ispirati, oltre che alla favola dei villani, a una famosa novella di Boccaccio, conosciuta come: Poni el diavolo allo inferno.
Entrambe le storie che seguono verranno presentate da Franca, in un linguaggio del tutto particolare tratto dal lessico dell’Italia centro-meridionale.
Dopo aver creato l’universo intero, il sesto giorno il Padreterno dice: “Voglio fare due creature uguali a me, come due figlioli!”.
E all’istante, senza faticare, ti sforna due uova grandi, ma cosi' grandi che a un elefante si sarebbe sfondato il condotto suo. Poi chiama un’aquila per farle covare: “Vieni qua uccellaccio... sieditici sopra!”.
Ma ’sto uccellone non riesce a coprire nemmeno la punta delle uova!
“Ora che faccio? Chi me li cova i figli miei? Mi dovro' arrangiare da me solo!”
Il Padreterno si tira su la veste tutta fino alle natiche e poi si siede accucciato delicatamente sulle uova e comincia a covarle come fosse una gallinona chioccia verace. D’istinto gli viene da fare: “Co-co-co...” e sbatte le braccia: “Co-co-co...”
Li' vicino ci stanno delle scimmie babbuine che sbottano in una gran risata: “Il Padreterno che cova le uova! Ah, ah!” Il Dio s’imbufalisce e gli ammolla una fulminata bruciaculo sul deretano: “Sciaa'!”. E per l’eternita' i babbuini sono rimasti pelati e rossi nella chiapperia!
Allora, dicevo, il Signore cova... e per il gran calore che sprigiona, per poco non ti cucina due uova alla coque! Di botto ha un sobbalzo e grida: “Si muovono! Le uova si agitano!”.
Il Signore ninna a fremito il deretano santo... le uova si squarciano spalancate e da ciascun uovo sorte una creatura!
Emozionato com’e', il Signore... bisogna capirlo, era alla sua prima covata... per abbracciarli inciampa e frana sui due appena nati e te li spiaccica che e' quasi una frittata:
“Dio, Dio - che ogni tanto si invoca da se' solo - che disastro! Bisogna che ci ponga rimedio.”
Dio raccatta la prima nata, una femmina, e, come un pasticciere, le rifa' la forma. “Oh, qua, sul petto mi sono sorti due bozzi. Beh, le stanno bene, glieli lascio. Quaggiu'... mi si e' fatta una fessura... non ho il tempo per ricucirla... tanto e' una femmina, e, anche se tiene qualche difetto, nessuno se ne accorge.”
Poi rimedia pure al maschio... ’stavolta con piu' attenzione.
“Ora dove li sistemo... povere creature mie appena nate?”
Disegna nell’aria un’elisse tonda e di botto appare un baccello di fagioloni esagerato! Apre ’sto baccello grande, cava fuori i fagioloni e dentro ci sistema comodi, una creatura per ogni valva.
“Belli i piccoli miei! Dormite cosi' saporosi fino a domani!” e via che se ne parte per l’infinito del creato.
Intanto il diavolo, geloso al vomito, ha assistito a tutta ’sta magnifica creazione. Come il Padre Dio e' sparito, s’appressa ai due gusci-baccello e, per non dare nell’occhio... che intorno ci stanno sempre gli angeli custodi a spiare, si e' incarcato sul capo una testa di montone con le corna a torciglione... e cosi' combinato a pecorone... raggiunge le due valve spalancate e con una pedata: bam!, richiude il baccello spiaccicato.
All’improvviso maschio e femmina si ritrovano uno incollato all’altra appiccicati. Per il cozzo si risvegliano all’istante... si odorano... nello scuro si palpano... con la lingua si assaggiano...
“E' buono!”
“E' saporosa!”
“E tu chi sei? Sei un fagiolo?”
“Si'!, sono un fagiolo con un pisello!”
“Sei il mio doppio... uguale a me?”
“Non che non siamo uguali... io sono uomo!”
“Siamo imprigionati?”
“Stai cheta che appena siamo maturi ’sto coperchio d’incanto, s’apre da se solo.”
«Ma io non sono per niente agitata... mi trovo bene cosi', mi sento addosso una gran dolcezza.”
“Anch’io...”
Per gioco si ninnano di qua e di la'... si strusciano.
“Mi fa un solletico strepitoso: Ahahah!”.
Gridano, ridono e miagolano con lamenti... respirano ansimando. PLAF!, si spalancano le due valve: “Oh siamo liberati!”
“Per carita'!” dice la femmina, “richiudi che sento freddo!” E PLOC!, con uno strattone, di nuovo si ritrovano abbracciati... e poi di nuovo aperto e poi richiuso... aperto e richiuso... aperto e richiuso…
“e' uno spasso grande! Come si chiamera' ’sto gioco?”
E la femmina con un languido sospiro dice: “Io credo che si chiami amore.”
“BEHAAE!” Il diavolo travestito come un pecorone, sbatte il capo sul terreno e bestemia: “Che fottitura! Io, il demonio, ho inventato l’amore! BEHHAE!”.
Un caprone che gli sta appresso s’arrazza a ’sto belato e gli va in groppa a montarlo. “BEEHHHAEE!” Fugge come un fulmine il demonio e si va a incornare con il capo contro a un roccione... le corna si infriccano salde nella capoccia... cosi' che, in un solo giorno, il diavolo ha creato l’amore e ci e' rimasto per l’eterno becco e cornuto!
Intanto quelli nei baccelli continuavano a fare l’amore... aperto e richiuso... aperto, richiuso... Riappare il Signore all’improvviso: “E che e'? Ma che razza di razza ti ho sfornato?” s’indigna e grida. “Ma che mollacciosa vita e' mai ’sta vostra, che tutto il giorno abbracciati ve ne state... apri e chiudi, apri e chiudi! Dovete ancora inventare la ruota... il fuoco! Vi ho creati come figli miei! Creature del Signore siete! (Infuriato) E arrestatevi almeno un attimo di fare l’amore, almeno quando parlo!”
E a Dio gli girano i santissimi! “Sai che faccio? Vi divido! Vi distacco uno dall’altro, la femmina di qua e il maschio di la' e vi sbatto in due continenti diversi e non vi rincontrerete mai piu'!”
“Non ci dividere Dio! Cosi, tu ci uccidi!” piangevano lacrime assai per il dolore.
“Che e' ’sta bagnata sul capo?” grida il Signore.
Gli angeli spaventati, se ne fuggono... lasciano sparpagliato un getto tondo tondo di lacrime... e cosi' nel cielo e' nato l’arcobaleno.
SGRÂNÂMU SULLICCHJU, SULLICCHJA O COCCIUTA JÂNCA?
di V.S. Gaudio
SULLICCHJA MÂRCUNE
SULLICCHJA MÂRCA
SULLICCHJA MÂRCUNE
‘Mporgiamu?
Tignâmu?
Fušcamu?
Sgrânâmu sullicchju, sullicchja o cocciùta jânca?
U grugnu sgrânâ, ‘a tasejella tignâ.