[Iosif Brodskij] ✒ Nature morte [traduzione di Silvia Comoglio]

 


Iosif Brodskij


Nature morte

 

“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”

C. Pavese

 

1

 

Da cose e persone, da loro,

noi siamo accerchiati. E le une

e le altre ci dilaniano gli occhi.

Meglio vivere nell’oscurità.

 

Seduto su una panchina 

nel parco, seguo con lo sguardo 

una famiglia che passa,

nauseato dalla luce.

 

E’ gennaio. E’ inverno.

Così dice il calendario.

Quando sarà il buio a nausearmi 

allora comincerò a parlare.




2

 

E’ ora. Sono pronto ad iniziare.

Da cosa è indifferente. Importa

aprire la bocca. Potrei anche tacere.

Ma è meglio per me parlare.

 

Di cosa? Dei giorni, delle notti.

O piuttosto  – di nulla.

O delle cose invece.

Delle cose, e non

 

delle persone. Loro muoiono.

Tutte. Anch’io morirò.   

Tutto quanto è una sterile fatica.

Come lo scrivere nel vento.



3

 

Il mio sangue è gelido. Un gelo,

il suo, più feroce di un fiume

ghiacciato fin sul fondale.

Io non amo le persone.

 

La loro fisionomia non fa per me.

Coi loro volti innestano nella vita

un aspetto come di qualcosa 

da cui non ci si può liberare.

 

C’è qualcosa nei loro volti

che nella mente suscita ribrezzo.

Qualcosa che esprime adulazione

non si sa nei confronti di chi.




4

 

Le cose sono più piacevoli. In loro,

all’esterno, non c’è né bene 

né male. E anche se ci penetri dentro, 

fin nelle viscere.

 

All’interno di un oggetto  – polvere.

Cenere. Un tarlo xilofago.

Le pareti. Una larva secca.

Tutto questo è sgradevole per le mani.

 

Polvere. E la luce, quando è accesa,  

illumina polvere soltanto.  

Anche se l’oggetto

è chiuso ermeticamente.






5

 

Un vecchio buffet dal di fuori

è proprio come all’interno, 

mi ricorda

Notre Dame de Paris.

 

Nelle viscere del buffet 

c’è solo oscurità. Il frettazzo, 

il mondo, non scuoteranno la polvere. 

La cosa stessa, di norma, 

 

non si sforza di vincere la polvere,

non tende il sopracciglio. 

Perché la polvere è la carne

del tempo; la carne e il sangue.




6

 

Negli ultimi tempi

io dormo in pieno giorno.

La mia morte, è evidente, 

mi mette alla prova,

 

avvicinandomi, anche se respiro, 

lo specchio alla bocca –

per vedere come riporto alla luce

questo mio non essere. 

 

Sono immobile. Entrambi 

i fianchi sono freddi, come

di ghiaccio, e l’azzurro 

delle vene mi rende di marmo.








7

 

Facendoci la sorpresa di essere

la somma dei suoi angoli,

la cosa casca fuori 

dal nostro mondo fatto di parole.

 

Una cosa non sta in piedi. E

neppure si muove. Pensarlo sarebbe un delirio. 

La cosa è il suo spazio. E al di fuori

dello spazio una cosa non esiste.

 

Una cosa si può battere, bruciare,

sventrare, rompere.

Gettare. Di fronte a questo 

non griderà “Va all’inferno!”




8

 

Un albero. La sua ombra. E la terra 

sotto l’albero per le radici.

Curvi nomogrammi.

L’argilla. Un’aiuola di pietre.

 

Le radici. Il loro intreccio.

La pietra, che il suo

peso specifico rende libera 

da questo sistema di vincoli e nodi.

 

E’ immobile la pietra. Non si può

spostare, né portare via.

L’ombra. L’uomo nell’ombra

è come un pesce nella rete.









9

 

La cosa. Il colore marrone 

della cosa. Il suo contorno sciupato.

Il crepuscolo. Non c’è altro –

nient’altro. Nature morte.

 

Verrà la morte e troverà un corpo

la cui superficie rifletterà

la venuta della morte

come l’arrivo di una donna.

 

E il teschio  lo scheletro la falce – 

è assurdo, è una menzogna.

“Verrà la morte

e avrà i tuoi occhi”.





 

 

 

10

 

Dice la Madre a Cristo:

Tu sei mio figlio

o il mio Dio? Sei stato inchiodato alla croce.

Come me ne andrò a casa?

 

Come oltrepasserò la soglia,

senza aver capito, senza aver deciso:

tu sei mio figlio o Dio?

Ossia: tu sei morto o vivo?

 

E lui in risposta:

Morto o vivo, donna,

non c’è differenza.

Figlio o Dio, io sono tuo.

[1971]

Trad. [Silvia Comoglio]