la sciagurata Romilda ✒ 6. ⇢ [Apocalypsis cum figuris]

 

la sciagurata Romilda

 

Il Marchese de Sade non raggiungeva nella vita i livelli di scelleratezze attribuite a tanti suoi personaggi e in ogni caso tutto si svolgeva per lo più fra libertine e libertini, senza tuttavia discolparlo, gli eccessi li sperimentava, eccome, le sue manie dal soft al violento.

 

Invece troviamo racconti sadici, riferiti come accadimenti della realtà, al cento per cento in autori tra i più impensabili. Perfino il pio Paolo Diacono, Longobardo d’origine e romanizzato, diventato un fervente benedettino, nella storia del suo popolo insediato in Italia scrive l’episodio della vedova di Gisulfo, il duca del Friuli, ucciso nel tentativo di fronteggiare l’incursione degli Avari, o Unni, nel territorio della Venezia, intorno al 613 d. C.

 

Per sfuggire al massacro la famiglia superstite e la popolazione si rifugiavano entro la cinta muraria di Cividale, mentre i barbari imperversavano in tutta la regione in scorribande, incendi e rapine. A un certo punto il loro re, Cacano, con un seguito di cavalieri, girava intorno in perlustrazione per identificare il punto più facilmente espugnabile della città.

 

Osservandolo dall’interno, Romilda lo trovava un uomo avvenente: “l’infame meretrice si accese di desiderio per lui e gli fece sapere attraverso un messaggero che, se l’avesse presa in moglie, gli avrebbe consegnato la città con tutti quelli che vi erano dentro”. Il nemico non se lo faceva ripetere due volte, certo, accettava, e le porte della fortezza venivano aperte seduta stante. In altri termini: quella cercava di salvare la propria vita, il bene più prezioso, il primo fra gli istinti umani.

 

Ne seguivano le fiamme, la devastazione. I prigionieri maggiorenni fatti fuori [in età virile], in modo spiccio, con il gladio. Le donne e i bambini tirati a sorte per renderli schiavi. Con quale criterio possiamo immaginarlo: le più belle, i più carini. Infatti, un fanciullo, uno dei figli della sciagurata, poi fuggito, eccolo: un Avaro “esultava per una così nobile preda, il puerulus era di bell’aspetto, di occhi scintillanti, con una chioma del colore del latte, lacteo crine perfusus”.

 

Alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente quei primitivi erano posseduti da passioni e da sentimenti rozzi, tagliati con l’accetta, senza alcuna raffinatezza della moralità non innata: l’ira, il tradimento, la vendetta, la brutalità, però a volte virati in senso contrario senza soluzione di continuità, come gli girava senza tante riflessioni e tanti dubbi.

 

E la poco di buono, secondo il nostro narratore indignato, come se la passava, stava esultando per averla fatta franca? La causa del male. Il nuovo marito, per così dire, restava fedele al giuramento, ma solo per una notte, e dopo lo spasso il giorno seguente la consegnava senza tergiversare a dodici suoi cortigiani e/o banditi: “perché, dandosi il cambio, la violentassero secondo la loro libidine.” “Alla fine, ordinò che si piantasse un palo in mezzo all’accampamento e la fece infiggere nella punta aguzza, in più infamandola con queste parole: ‘talem te dignum est maritum habere’.

 

dicembre 2021

 

Il doppio significato dell’aggettivo sconnesso, anzi, il più possibile moltiplicandone la valenza in senso proprio e in senso figurato, tuttavia senza rigore, nel flusso della spontaneità narrativa, altrimenti diventerebbe rigido, freddo, intellettualistico, per una sorta di trasmissione emozionale, soprattutto puntando sulle comunicazioni riflessive. Non dimenticandone l’aggiornamento legato a internet e, per estensione, a tutti i moderni mezzi tecnologici, dalla radio e dalla TV in poi. Una s privativa, i miracoli di un prefisso, come già nella formula “svestire gli ignudi”, derivata da Luigi Pirandello e deturnata.

 

In gioventù conoscevo un signore dalla peluria eccessiva, sulle braccia, sul petto e perfino sul dorso, designandola in maniera eufemistica. Il termine tecnico della patologia: ipertricosi. L’origine della favola della bella e la bestia? Contento di non rientrare in quella tipologia nemmeno alla lontana. Mi sentirei ancora più gratificato con un aspetto del tutto glabro, compresa la zucca.

 

L’aura per Laura, i giochi di parole dell’ottimismo giovanile. Poi un indefinibile reificato. Il corpo fisico, obsoleto, detestato nella sua dimensione di vocabolo: non più al centro del mondo, ritenuto brutto, con gli arti sgraziati, un gatto ha una forma migliore, più armoniose le linee bilanciate dalla coda. E quanto lo riguarda, i cinque sensi, una predisposizione per la vista, meno per il tatto, l’udito, il gusto, il peggiore dei quali, l’olfatto, mi causava e mi causa un vero e proprio malessere se gli odori naturali [inavvertiti dalla maggioranza delle persone] non vengono rettificati dai profumi. 

 

Gli androfagi. Un collage di qualche flash laconico come i ricordi molesti. La mente scaricata su un supporto realizzato per cercare l’immortalità. La simbiosi tra l’uomo e la tecnologia con una sorta di anima transitata da una parte all’altra. Eppure, anni fa ne leggevo un anticipatore racconto fantastico. Non vorrei arrossire per uno strafalcione: Howard Phillips Lovecraft?

 

In un mio cartone di graffiti domestici, 2016-2021, “ammesse le ingiurie del tempo”, continuando una vena del passato: lasciare le pagine al sole, i polpastrelli bagnati nell’inchiostro e timbrati su una tavola a indicare un percorso primitivo o pre-historico, le tracce di vera sporcizia impossibili al PC. 

 

"una danza macabra del XXI sec. d. C.", 2019

Carlo Pava

diari sconnessi

Apocalypsis cum Figuris

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