Carlo Pava ✒ la giornata di un intellettuale decaduto


 

Carlo Pava

la giornata di un intellettuale decaduto

L’aridità interiore supporta la scalata verso una dimensione mistica a-confessionale ma senza una vera e propria scala, non potendo sorreggersi nel vuoto, quindi [OK; quindi] quella parola resta inadeguata e senza la facilità di un sinonimo. Ma come la mettiamo se il punto e virgola è in disuso? 


Un’assenza resa con la fotografia di un deserto, se non si identificasse in un luogo comune dell’imagismo inflazionato. Una soluzione uno psicodramma, ossia un gioco, permette di barare e di non barare in contemporanea. La violenza, resa poetica se viene espressa come le alterne forze della natura nel proprio giardino segreto, a sua volta un luogo privo di realtà: il sole rinsecchisce le piante in abbandono quando non piove da molto tempo, un temporale le abbatte o perfino sradica gli alberi. Tutta fatica sprecata. Rassegnandoci alla 

 


vittoria degli altri animali e della flora. Il sacro nell’incomunicabilità: una vaga idea con il nonsenso con convinzione ma di rado, solo nell’ozio della vita quotidiana non durante le vacanze.

Le giornate di Franz Mensch venivano interrotte, ricordiamolo, perduta la fede nel fumetto, dopo un brevissimo exploit promettente, fulmineo. Per cui il disegno lo si definiva a sprazzi saltuari, e tuttavia, volendo, si riusciva a ipotizzare un curatore postumo con la volontà di metterne assieme i


frammenti in un’edizione da ammiratore, scegliendo il meglio, per quanto limitato in quantità. Del resto, rimanevano sconosciuti i filosofi pre-presocratici e molto poco o quasi niente o perfino niente del pensiero delle personalità ricordate nelle tradizioni dei dossografi.

Però almeno un settore: l’arte visiva. Le nuove tecnologie, in quell’epoca, permettevano molto a chiunque, davvero, con exploit[s] eccezionali dei più dotati, spesso come l’evoluzione dei 


 fotoromanzi. “Ma” si chiedeva “con l’avvento 


della fotografia, nell’Ottocento, proprio per queste ragioni, fra l’altro, i pittori reagivano opponendosi al verismo, cercando i percorsi della luce e della sfocatura?”.

In effetti, le figurazioni perdevano i contorni netti, i segni e le tinte si trasformavano in una sorta di pulviscolo atmosferico con colori più o meno deliziosi, il più delle volte dall’effetto gradevole, prima ridicolizzate poi finivano con il piacere soprattutto alle vecchie signore della borghesia, allora una classe egemone, infine ridotta in schiavitù con graduali arretramenti cognitivi per 


uniformarla con gli antropi decerebrati e i roboty.

Lunga la storia degli strumenti per disegnare. Ma le griglie in telai poste davanti al soggetto per tracciarne le proporzioni e le prospettive, anche con la preparazione sui moderni acetati per i piccoli formati nella modestia artigianale. Restando ai nostri giorni, le lavagne luminose per ricalcare, e così via. Nel campo dei comics di grande richiamo, per le star[s] dei supereroi e del fantasy [resi fuori moda dal manga passato al setaccio dalla certezza 

 


 della commercializzazione, altrimenti no], il set teatrale con i modelli in costume e i grandi spazi per fotografarli dall’alto e dal basso, infine le soluzioni digitali, le applicazioni alla portata di tutti, le fotografie rese stilizzate secondo i gusti estetici del momento e con colori bellissimi [a bella posta il superlativo-cliché], a dire il vero un po’ troppo piatti e senza un minimo di imperfezioni per indicarne la manualità, ossia l’originalità di un autore, e per un’editoria in declino. Compassato, con passate velleità da intellettuale ma rassegnato alla modestia di un lavoro da maggiordomo, il

fidanzato di Isotta, l’eterna fidanzata:

“Allora ipotizziamo una soluzione opposta? Uno stile radicale in un’opposizione totale? Non si deve più sbeffeggiare l’artista quando ammette: ‘non so scrivere, non so disegnare, non so dipingere’? D’accordo, ed ecco perché, forse, venivo lasciato incompiuto, a livello di storyboard, nel progettato remake della sequenza archetipa, quando con il nuovo millennio il mio autore, un alter-ego, ricominciava a interessarsi al fumetto abbandonato da giovane. Non ci credeva più, incline a qualcosa di sorgivo, di neo-primitivo, già tanto, troppo, dire γράφω [sulle rocce, su cocci, su tavolette in vari materiali, sui rotoli, con uno stilo o con chissà cosa, più indietro nel tempo]. Tuttavia, perplesso anche nei riguardi della cosiddetta scrittura asemantica o pseudo-asemantica, la verbalità idosemantica, se l’indottrinamento degli invasori, i genocidi degli autoctoni, laggiù, oltre l’oceano, oltre l’Atlantico, vorrebbe imporre il trend dell’asemic writing, ripetitivo e di maniera, una maniera della maniera. Come una forma di auto-censura, come un’incomunicabilità diventata lo strumento principale dell’assuefazione alla schiavitù della de-PopArt del regime neo-nazifascista, un’etichetta passatista per capirci a volo, ma d’élite, un’oligarchia”.