un breve intervento personale sulla letteratura e sulle arti visive borderline 📧 carlo pava


A una certa età risulta abbastanza facile riconoscere il filo di un percorso con le sue tappe e le sue scelte, a volte ineluttabili e a volte in apparenza casuali, dapprima un groviglio e poi la consapevolezza lineare di un eclettismo delimitato, fra la letteratura e l’arte verbo-visiva. La mia prima mostra personale intitolata “dall’art brut all’estetica socialista”, a Venezia centro storico, 1975, all’insegna, a parte la presa di posizione politica derivata da Oscar Wilde, di un Jean Dubuffet ridimensionato e coniugato e inserito nel contesto dei turbamenti nevrotici dell’adolescenza e della giovinezza. Poi la mia difficilissima versione italiana, integrale, la prima in assoluto, di Louis Wolfson, “mia madre, musicista, è morta…”, SE, 1987. Proviamo a immaginare uno scrittore diagnosticato schizofrenico nel rifiuto della propria lingua anglo-americana optando per il francese: per di più si considera uno studente di lingue, sa anche di ebraico e di arabo e si picca di intendersene di medicina. Ora, mentre il filone della creatività borderline sembra in auge, forse ancora in nuce, lo si scopre o si tenta di scoprirlo alla grande. Accorgendomene, vedo in uno store on line una nuova edizione di Einaudi ma non è la mia traduzione, o almeno non porta la mia firma, con probabilità una riscrittura per limitarne il costo. Eppure, SE produceva libri di grande raffinatezza della veste grafica dopo un attentissimo vaglio dell'accuratezza testuale. Dico in generale, per conoscenza diretta di quegli ambienti, in passato, quando cominciava a ventilarsi la riduzione dei collaboratori freelance.

 

📧 un breve intervento personale sulla letteratura e sulle arti visive borderline