DOPPIO PROTOCOLLO*
per MARINA MIZZAU
Vive a
Bologna, dove, all’Università degli Studi, insegna, per il Dipartimento di
Discipline della Comunicazione, Psicologia.
Titoli: Come i delfini, Verona 1988; I bambini non volano, Milano 1992; Come i delfini, Milano 1995.
*Si noti
come questo termine giuridico alluda al termine transazionale: il Protocollo, nell’analisi transazionale,
racchiude le esperienze drammatiche originarie sulle quali si basa il copione.
Copione che, come si vede nella ricostruzione del P.M. Micronarratore
Transazionale, culmina in una scelta decisiva che realizza il piano di vita
della Poetessa. Il Copione Amartico,
dice Berne, è un copione con un finale tragico autodistruttivo. Il Doppio Protocollo, le 8 pagine, fa sì
che, andando, la Poetessa, all’ appuntamento con il Lafcadio, per giunta
bruttissimo, non può che preannunciare un tornaconto fatale, senza per questo sottendere
il Decreto di morte che, nella
psicologia di Berne, è, appunto, un tornaconto fatale al copione. Vogliamo dire
che il Doppio Protocollo ha, in sé, un Copione Amartico: il PDCSAM e il
PRENDETEMI A CALCI con cui si gioca la transazione tra Lafcadio e Poetessa,
quando s’annullano nell’incontro vengono commutati in un Decreto di morte(della
Poetessa, che non è tale).
I. All’Aeroporto 6
q[II.
Perizia Transazionale
III.
L’Assassinio in due battute
Iv.
Testimonianza di Lamberto Pignotti
IV.
Testimonianza di Umberto Eco]
ñAll’Aeroporto[i]
per incontrare il Lafcadio
Bruttissimo
La poetessa Mizzau
sta viaggiando verso l’aeroporto, e ha un problema serio. Deve incontrare il
Lafcadio Incaricato che non conosce e da cui non è conosciuta.
Al telefono la Mizzau ha chiesto al Lafcadio: “Come
facciamo a riconoscerci?”, e il Lafcadio le ha risposto: “Non c’è problema, io
sono bruttissimo”.
La poetessa Mizzau esamina alcune possibilità d’azione e le
scarta. Neanche pensare a presentarsi semplicemente al Lafcadio, ammesso di
riconoscerlo, implicitamente concordando sulla sua bruttezza. Potrebbe allora
abbordarlo dicendo: ma non è poi così brutto, non l’avrei riconosciuta. Marina
Mizzau non tarda a rendersi conto dell’insensatezza di un comportamento del
genere, della sua evidente paradossalità Si rammarica ora di avere accettato
quell’assurda consegna, di non averla discussa, di non aver offerto lei un
segno di riconoscimento. Se non altro per cortesia: anch’io sono brutta. Ma non
era vero, in fondo, e il Lafcadio ci sarebbe rimasto ancor peggio, a vedere una
tanto meno brutta di lui che si definisce brutta. E se poi il Lafcadio non lo
fosse così tanto? La bellezza è un fatto soggettivo. Avrebbe potuto dirgli al
telefono: ma no, impossibile che sia così brutto da farsi riconoscere. Come
impossibile? E se poi lo era? Avrebbe solo peggiorato la situazione.
Resta il fatto che non può così, brutalmente, ammettere il
riconoscimento. Potrebbe fingere un equivoco. Fermare prima uno qualsiasi,
forse più di uno, brutto, o non tanto brutto, magari anche bello. Un modo come
un altro per dire al Lafcadio: in fondo non ha nulla di particolare la tua
faccia. E se questo lo offendesse ancora di più? Non riconoscergli
neanche il diritto alla bruttezza?
D’accordo, uno ha il diritto di essere brutto e di saperlo,
magari anche di esserne fiero. Ma deve subirne le conseguenze: un brutto può
pretendere di essere riconosciuto tale, ma non può pretendere l’ammissione del
riconoscimento, non può pretendere che gli altri si sottraggano alle normali
regole di cortesia.
Marina Mizzau si racconta storie consolatorie. In fondo,
non è poi una situazione così unica la sua. Come faranno al cinema per
scegliere un attore – peggio, un’attrice – per una parte da brutto? Dovranno
per forza dirglielo. Forse no, gli dicono solo che devono truccarlo da brutto.
Ma allora, penserà quello, perché scelgono proprio me? Ci sono tanti brutti
veri.
Se lo riconosco, pensa Marina Mizzau, non glielo dimostrerò
subito. Assumerà un’espressione fortemente perplessa. Che il suo sguardo dica:
forse è lui, però non è tanto brutto. Che l’altro la individui, non dal riconoscimento
del suo riconoscimento, ma dal riconoscimento della sua perplessità. Che il
Lafcadio legga un dubbio nello sguardo della Mizzau, e che di conseguenza il
dubbio venga a lui: non mi riconosce, non ne è certa. Allora non sono poi così
brutto. Oppure: il Lafcadio non riconoscerà la perplessità sulla sua bruttezza,
ma la perplessità circa il manifestarlo. Ecco, sarà il Lafcadio a riconoscere
Marina Mizzau dal suo imbarazzo. E’ questo il segno che in realtà gli è stato
proposto. Ma perché farla così complicata? Perché il Lafcadio non le ha dato
qualche altro segno di riconoscimento, oltre la bruttezza, un piccolo indizio
secondario magari poco utile, ma che avrebbe permesso alla Mizzau di fare
passare ufficialmente in secondo piano
il segno principale? Sono brutto e ho i baffi. Sono brutto e ho in mano “Carte
Segrete” n.40, in cui Thomas de Quincey riferisce della soppressione del
Poetosofo V.S.Gaudio. Sarebbe stata tutt’altra cosa. E’ lei, l’ho riconosciuta dai baffi. Non
importa che ci siano altri baffi in attesa, magari su visi belli. Un’elegante
scappatoia, di cui entrambi si sarebbero
avvantaggiati. Niente, il Lafcadio deve essere un sadico. Certamente si sta
divertendo un mondo a pensare a come si comporterà la Mizzau, a prevedere tutte
queste sue apprensioni. Marina Mizzau ora ha voglia di punirlo. Buongiorno, è
lei, sì, davvero è proprio brutto. La poetessa è all’aeroporto e osa appena
guardarsi intorno. Un viaggiatore in attesa fa scorrere lo sguardo su di lei. E’
un uomo bellissimo. La poetessa è attraversata da un sospetto spiacevole. Che
sia lui? Così sfrontato da giocare sugli opposti, così impudico da non
resistere alla tentazione di procurare un tributo al suo fascino attraverso la
sorpresa? La Mizzau diventa maligna, vorrebbe affrontarlo dicendo, con molta
serietà: beh, non è poi così brutto.
L’uomo bello, V.S.Gaudio[ii]?
Si dirige dalla sua parte, Marina Mizzau guarda a lato: c’è una ragazza
bellissima(→Marisa G. Aino?) che gli va incontro.
V.S.Gaudio in una photostimmung by blue amorosi |
Marisa G. Aino in una photostimmung by blue amorosi |
La Mizzau si vergogna un po’ del cattivo pensiero, tanto
più che adesso l’ha visto. Sì, è brutto. Non tanto, però; la Mizzau non ha
bisogno di fingersi perplessa: lo è davvero. E’ imbarazzata sì, ma non per
dover far mostra di non riconoscere la bruttezza, ma perché davvero è incerta.
Vorrebbe che il Lafcadio, se è lui, riconoscesse questa sua reale perplessità,
che non la confondesse con finta perplessità, con imbarazzo simulato.
Certamente è lui. Non è molto brutto, ma ha l’aria di chi si crede brutto. Ciò
suscita nella poetessa un’improvvisa simpatia. Vorrebbe riconoscerlo subito,
per comunicargli la sua comprensione, ma a questo fine forse la cosa migliore è
non riconoscerlo.
La poetessa si arrende. Vigliaccamente abbassa lo sguardo e
aspetta.
Resteranno soli alla fine, e allora per il bruttissimo
Lafcadio Incaricato non ci saranno più problemi.
[Ricostruzione, tra
narrazione artificiale e narrazione naturale, del P.M.
Micronarratore Transazionale]