F. Pinzùne
L’Essere, parafrasando Watzlawick, quando
ci narra del paradosso di Newcomb[i], vi
mostra due scatole con il suo imperativo: nella prima, c’è una sorta di lapsus calami: → “ainfarmi” vs “aiutarmi”; il gesto calligrafico, con la pulsione
szondiana dentro il punzone della cosiddetta →Francesca Penzù[ii], sommuove
questa impudente voglia: →se puoi
ainfarmi, fallo! Siamo nel
secolo scorso e il →“bagliore ainico”(che
sarebbe la versione più saracena del cosiddetto “bagliore didonico”), formalizzato dal poeta cosiddetto dell’Enzuvë, era di là da venire, nonostante
si fosse già addentro all’Enzuvë per
via dello speculare →Jésuve di
Georges Bataille.
Nella
scatola 1, allora, la Penzù ci ordina
questo; nella scatola 2: →diversamente,
dammi i mezzi per farlo io. Quell’Essere, la F.Penzù, ha disposto i seguenti risultati: se scegli l’alternativa 1 e mi ainfai,
→allora abolisci la
distanza(il poeta è lontano mille chilometri) e fallo, ainfammelo! Che è
quello, insomma, enzuvare il bagliore ainico del trunânte; se scegli la
scatola 2, →allora dovrai darmi i mezzi per farlo io: cioè devi
rispondere alla mia epistola così mi dici se hai capito che ti sto chiedendo, e
così facendo avrò la certezza di stare, ainfacendolo
io, nel tuo piacere singolare, perché
anche tu, anche a distanza, mi starai ainfacendo
quello che io mi sto ainfacendoti
fare,insomma mi ainfaccio e tu mi ainfai.
La
bellezza di questi due imperativi in questa situazione immaginaria è che ci
sono due risultati egualmente possibili ed agualmente plausibili, ma totalmente
contraddittori: una sembra più logica e ovvia e anzi pare che la seconda
alternativa potrebbe, nelle menti più inutili e semplici, non dico essere compresa
ma addirittura nemmeno presa in considerazione. Nondimeno, può suscitare, in
entrambi gli epistolanti, una voglia fortissima per ambedue le strategie, e ciò
ci rigetta in una realtà, visto poi come andarono a finire le cose, →“ove tutto
è scritto, è vero anche il suo contrario”.
Secondo
la prima argomentazione, il poeta avrebbe potuto avere fiducia quasi completa
nel primo imperativo dell’Essere: da
ciò segue con logica quasi inevitabile che, qualora il poeta l’avesse fatto,
avrebbe poi preso entrambe le scatole, e quindi quell’Essere, che aveva previsto in qualche modo questa mossa e, in
conformità alle condizioni e alla distanza, cosa avrebbe messo, dopo che il
poeta gliel’ha ainfatto il trunânte, nella scatola 2 per
riaccendere il bagliore ainico così
bestialmente ainfatto dal poeta nella scatola 1? Ma, cribbio, i mezzi che il
poeta gli ha enzuvato ainfacendola!
Questo
cosa comporterebbe? Che è nella natura dell’Essere,
e nel suo rombo con quella spietata, avida, bestiale pulsione mai colma e mai
tanto ‘nzuvata, che la scatola, o la
busta, essendo un’epistola, numero 2, per la sua stessa natura, è quella che
annulla non solo virtualmente la distanza tra i due epistolanti, anche se è
inevitabile la conclusione che il poeta, ammesso che non abbia mai risposto,
con un’altra epistola, non è detto che non gliel’abbia ainfatto, magari, dopo che quell’Essere si sia immobilizzato nella fotografia in cui è seduta sul
palo che, ne converrete, a vedervela così sospesa, il 31 glielo vorreste
ainfare pure voi, e anche il 33, stando così dietro l’Essere e i due imperativi. A prescindere da come abbia deciso il
poeta, e anche quella Penzù, per via del Pinzùne, già messo nel rombo del poeta
otto mesi prima, l’imperativo 1 era già lì(o no) dal 20 giugno, o dal 12
ottobre dell’anno prima, magari una settimana dopo o dieci giorni prima che la
lettera sia arrivata a destinazione, per quanto poi al momento il destinatario
non abbia preso nessuna decisione.
In fin
dei conti, il problema è semplicemente questo: di fronte alla necessità di fare
una scelta, qualunque scelta, come scelgo?
Se
credo veramente che la mia scelta sia determinata da tutte le cause del
passato, è inevitabile che, in quella circostanza, le cause del passato non mi
permettevano di fare l’unica scelta che potevo o volevo fare; più tardi, poi, l’avremmo
visto, sembra che i mezzi di cui all’imperativo 2 siano immani e ineluttabili e
quindi non si può non cominciare ad ainzivarla
nel piacere singolare più impudente e proibito che possa essere messo in scena
tra il rombo di Lacan del poeta e la losanga di Lacan dell’Essere cosiddetto F.Penzù.
Non ci
sono alternative, e anche se penso che ce ne siano, questo stesso pensiero è
null’altro che l’effetto di qualche causa nel mio passato personale. E, in
relazione all’Essere, nel suo passato
personale. Per non parlare dell’etica e della morale.
La
seconda argomentazione, che era quella di prendere tutte e due le scatole, e
quindi gli imperativi: →|fallo
nel più breve tempo possibile|← e, poi, →|diversamente dammi i mezzi per farlo io, ancora|←. Nel senso che: →tu me lo ainfai nel più breve tempo
possibile e poi, →con i
mezzi che mi hai dato ainfacendomi,
te lo ainfarò io, nel più lungo tempo
possibile. E’ logico, si ragiona in base al significato logico, atemporale di se-allora:
“Se mi |ainfai| subito, allora mi dai i mezzi per |ainfarti| a seguire anche quando me l’hai già |ainfatto|”.
I
sostenitori di questa seconda argomentazione pensate che possano essere il
destinatario e l’Essere dei due
imperativi, anche se questa viene dopo l’espressione degli imperativi e dopo la
successiva ricezione dell’ordine? Anche se in precedenza ci si continuerà a
chiedere quando ha avuto luogo l’ascesa del punzone al rispettivo meridiano di
ognuno e, conseguentemente, prese le due scatole, l’Essere quante volte s’è ainfatta nel suo piacere singolare lungo
quanti lustri, 5 o 9 e, versus, quello dei mezzi da dare quante volte se l’è
ainfatta la signora Pinzù nel suo piacere singolare lungo quanti lustri, 4 nel
secolo scorso e 4 nel secolo attuale?
Insomma
siamo o no nel |desiderio
omometrico| → omometria”, disse Barthes, come eguaglianza di
misura tra il dire e il detto, tra il
desiderante e il visionatore. E’ questo! Sarebbe questo il desiderio omometrico? La
cattura istantanea del visionatore ad opera della cosa stessa, che è come se fosse uno schema verbale o un avverbio: assolutamente,
è questo! Pinzù che cosa sta facendo,
sul palo en plein air lassù in montagna o con quel →|Pinzùne|, tra muso e naso, →che |Chjovàra|!, che cosa sta
facendo assolutamente? Quello che è, non c’è nient’altro da dire e da
guardare. Ovvero: non si può dire, ed è precisamente così, il contrario
del reale e del realismo, sotto la maschera dell’esattezza, scrisse Barthes,
donazione folle di senso. E quindi la naturalità della cosa e il buco, →o
quell’|ainfarmi |: “se puoi ainfarmi,
fallo nel più breve tempo possibile!”[iii]
←
che fa accedere alla Differenza dell’ainfatto.
La losanga dell'ainfarmi, il lapsus calami di Uratruna |
ainfarmi 33 |
[ii]
Vedi e leggi →Il Tomahawk irredento
e il gesto calligrafico, →Uh
Magazine 2020/03
[iii] Scrisse al poeta lontano: "ainfarmi nel più breve tempo possibile". Lo schema verbale contiene 8 lettere, l'avverbio di tempo è lungo 25 lettere, in totale fa 33, che è questo che vuole che il poeta le ainfaccia: ainfarla nella Misteriosa, che è la 33 del Foutre du Clergé de France, in cui il poeta, anziché sulla sedia, è seduto sul palo e lei, anziché sollevare la gonna, si cala i jeans e...il poeta la "ainfà". Nel più breve tempo possibile.
[iii] Scrisse al poeta lontano: "ainfarmi nel più breve tempo possibile". Lo schema verbale contiene 8 lettere, l'avverbio di tempo è lungo 25 lettere, in totale fa 33, che è questo che vuole che il poeta le ainfaccia: ainfarla nella Misteriosa, che è la 33 del Foutre du Clergé de France, in cui il poeta, anziché sulla sedia, è seduto sul palo e lei, anziché sollevare la gonna, si cala i jeans e...il poeta la "ainfà". Nel più breve tempo possibile.
Il deretano di Uratruna si avvicina per molti versi al soffice→ patagonico Jinzu -Zōe l’esercizio sul soffice Jinzu è speculare all’ainfarmi e all’ainfatto |